David, il barista armeno che sta con la Questura

Mercoledì 24 Luglio 2019
IL POLSO
PORDENONE «Resto qui, sono io il poliziotto del mio bar. Rimango con le serrande alzate proprio in piazza Risorgimento, dove gli altri chiudono». Il luogo, ormai diventato sinonimo di retate e degrado; la nazionalità - armena - dell'autore del virgolettato; la categoria, quella dei baristi, che oggi nessuno invidia. C'è tutto, nella storia raccontata da David Aramyan, ventenne titolare del bar Dolce e Dolce di piazza Risorgimento.
CHI RESISTE
La Questura di Pordenone, a cavallo dello scorso weekend, ha chiuso tre bar applicando l'articolo 100 del Tulps. Uno, il Tiffany, insiste su piazza Risorgimento. A pochi passi c'è il locale di Aramyan. Stesso ambiente, stesso humus di piazza, stessi rischi. «Ma sono io il poliziotto di me stesso», scherza (ma non troppo) il ragazzone di origini armene che ha scelto di schierarsi con la Questura. «Il vero problema ce l'abbiamo di notte», spiega. «Ma io controllo tutto, e allontano chi non voglio nel mio locale. Non ho paura, me la so cavare. Non vorrei mai nel mio bar delle persone che possono provocare la chiusura dell'attività. La droga qui non entra, e se becco chi ha già bevuto troppo e vuole un altro drink, non esito a dire di no. Conosco tutti quelli che frequentano il locale, ho mille occhi aperti e se noto qualcosa di strano lo segnalo immediatamente».
E nelle sue parole c'è anche il dispiacere che si prova nel vedere una piazza che boccheggia, e che rischia di passare dalla movida violenta al deserto, cioè proverbialmente dalla padella alla brace. «È un peccato, perché sarebbe una bellissima piazza. Purtroppo però i pordenonesi ormai hanno paura di frequentarla. Noi non ci arrendiamo, rimaniamo qui rispettando la legge».
CHI PROTESTA
Un anno e due mesi fa, il 25 maggio del 2018, il questore Marco Odorisio faceva chiudere per 30 giorni il bar Commercio, che si affaccia sempre su piazza Risorgimento ma che a registro figura in via Santa Caterina. Nel corso del tempo, nel bar si erano verificati gravi episodi per l'ordine e la sicurezza pubblica. A far scaturire il provvedimento, in particolare, era stata una rissa che aveva coinvolto venti persone, tutte ubriache. E oggi è proprio dal bancone dello stesso bar che si leva la protesta contro la linea dura della Questura. La titolare, la cittadina di origine cinese Li, parla senza timori. «Non è più la Pordenone che conoscevo. Una volta si stava bene, c'era più tranquillità. Oggi è quasi impossibile continuare ad avere un bar. Ogni giorno c'è il rischio di non lavorare più». Addentrandosi nella materia, fa capire di essere distante anni luce dall'atteggiamento da sceriffo del collega Aramyan. «Non posso controllare tutte le persone che entrano nel mio locale. Se all'esterno ci sono clienti che bevono, come faccio a capire se sono brave o cattive persone? Viene voglia di lasciare, sia la città che il lavoro».
IL NUCLEO STORICO
Dalla viva voce dei baristi storici della città, invece, emerge un terzo dipinto. Vi si scorge un problema che si avvicina al nocciolo della questione. «Tra colleghi - spiega ad esempio Sandro Sambin del bar Carducci - ci incontriamo spesso, anche per parlare delle regole e della nuova politica che condiziona nel bene o nel male il nostro lavoro. Spesso, però, i gestori dei bar che arrivano da altre Nazioni, non si presentano agli incontri e dimostrano di conoscere le regole e quindi i rischi». Poi, quando arrivano i provvedimenti in carta bollata, è un po' come un corso di aggiornamento intensivo.
Marco Agrusti
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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