LA SENTENZA
VENEZIA Antonio Genesio Mangone era «soggetto a disposizione»

Giovedì 17 Ottobre 2019
LA SENTENZA
VENEZIA Antonio Genesio Mangone era «soggetto a disposizione» di Sergio Bolognino, «suo intermediario nell'attività estorsiva» e «suo guardaspalle in occasione degli incontri» con i fratelli padovani Luca e Michele De Zanetti. E «la persistenza di collegamenti del Mangone con soggetti già coinvolti a pieno titolo nelle attività illecite del sodalizio» è la prova «della sua costante disponibilità e dell'attualità del pericolo di recidiva». Sono le ragioni per cui la Cassazione ha respinto il ricorso del 54enne contro l'ordinanza del Riesame di Venezia, che sei mesi fa aveva confermato la misura cautelare degli arresti domiciliari disposta lo scorso 30 gennaio, durante la prima fase dell'inchiesta Camaleonte: la sentenza è stata depositata martedì, alla vigilia dell'annuncio dei nuovi sviluppi da parte della Procura.
LA VICENDA
Risale a sette anni fa la vicenda da cui sono scaturite le indagini a carico di Mangone. In particolare gli viene addebitato «un episodio estorsivo, commesso nell'ottobre 2012 e perfezionatosi con la scrittura privata del 17 ottobre 2012 redatta presso un notaio, in forza del quale gli imprenditori De Zanetti venivano costretti con minaccia e violenza a cedere il 10% delle quote nominali della società SaeD Groups (azienda di Campagna Lupia, ndr.) a Sergio Bolognino, agendo seguendo le direttive di quest'ultimo e mettendosi a disposizione del sodalizio facente capo alla cosca madre di ndrangheta riconducibile alla famiglia Grande Aracri». Secondo i giudici, il calabrese era riuscito a indurre i fratelli De Zanetti, «già pesantemente minacciati e malmenati dal Bolognino in sua presenza, ad accettare il diktat di quest'ultimo». Per la Suprema Corte è corretta la valutazione del Tribunale nel ritenere, seppure a distanza di tempo da quei fatti, ancora fondato il «pericolo di reiterazione delle condotte».
GLI ALTRI
Sempre la Cassazione ha respinto anche i ricorsi di altri quattro co-indagati calabresi. Resta in carcere Francesco Scida, accusato di essere più che un prestanome, al punto da «prelevare con continuità ingenti somme di danaro contante presso sportelli postali (anche nell'ordine di 250 mila euro al mese»). Domiciliari confermati, infine, per Sergio Lonetti, Rocco Devona e Mario Megna.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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