LA DATA
MERLARA «C'è stato un momento in cui ho temuto di non aver

Mercoledì 8 Aprile 2020
LA DATA
MERLARA «C'è stato un momento in cui ho temuto di non aver fatto la cosa giusta. Ci era piombato addosso uno tsunami e la decisione di blindare la casa di riposo l'ho presa di getto, pensando a quello che era successo a Schiavonia. Abbiamo perso ventiquattro ospiti e forse l'ecatombe non è ancora finita». È passato un mese esatto da quando la casa di riposo di Merlara ha scoperto di essere un focolaio di Covid-19.
A ripercorrere le angosce e le speranze di queste quattro settimane è Roberta Meneghetti, 60 anni e da sette presidente della residenza Scarmignan. La data spartiacque per il pensionato di via Roma è domenica 8 marzo: il prima è la vita ordinaria, il dopo è una lotta contro il virus per salvare i nonni di Merlara. Che la minaccia fosse nell'aria lo si era intuito già qualche giorno prima, quando in segreteria erano arrivati i certificati di malattia di 5-6 dipendenti. Tre di questi avevano sintomi influenzali e anche alcuni pazienti avevano la febbre. «Era una situazione anomala osserva la Meneghetti, che in quella settimana era in contatto costante con la segreteria visto che il direttore e la coordinatrice erano in ferie ho chiesto di riorganizzare i turni inserendo anche due amministrativi». Domenica mattina una signora viene trasferita in ospedale e, visti i sintomi le fanno il tampone. L'esito arriva alle 5 del pomeriggio, mentre la Meneghetti sta passeggiando lungo la pista ciclabile del paese. Test positivo. «Fermi tutti, chiudete la struttura. Nessuno entra e nessuno esce: queste sono le istruzioni che ho dato al telefono racconta la presidente Mi è venuto in mente l'ospedale di Schiavonia, che era stato blindato alla scoperta dei due positivi. Avevo paura che il contagio si diffondesse. Ho avvisato il sindaco Claudia Corradin, chiedendo delle brandine per il personale».
Dentro c'erano 72 ospiti e 14 dipendenti, oltre al familiare di un anziano, il cui accesso era stato autorizzato. La Scarmignan era come una roccaforte sotto assedio: per due giorni ha dovuto sopravvivere in attesa che tutti facessero il tampone. L'esito arriva il pomeriggio del 10 marzo: «Un macello afferma la Meneghetti . Nessuno era preparato: 63 ospiti positivi 73 e 24 dipendenti su 45 (numeri poi destinati a salire, ndr). Ci siamo trovati senza personale da mandare dentro: soltanto 5-6 operatori e nessun infermiere».
A quel punto presidente e sindaco iniziano a bussare alle porte di tutte le autorità e istituzioni: prefetto, provincia, Ulss, Protezione civile regionale, croce rossa, altre case di riposo, associazioni di volontariato. Chiedono dispositivi di protezione. Il primo problema lo risolvono nel giro di qualche giorno con approvvigionamenti e donazioni, il secondo no. «Non arrivava nessun aiuto, eravamo soli». Intanto gli anziani iniziavano a morire: alcuni in struttura, altri all'ospedale. La prima croce, piantata sabato 14 marzo, è quella di Nerone Ugo Melato. Poi altre 23: una strage che sembrava inarrestabile. «Abbiamo deciso di chiedere l'intervento dell'esercito, scrivendo anche al sottosegretario al Ministero dell'Interno Achille Variati» spiega la Meneghetti. Lunedì 30 marzo un contingente di 5 infermieri militari prende servizio alla Scarmignan, alleggerendo finalmente il carico di lavoro. «È stato un respiro profondo, di quelli che ti ridanno l'ossigeno». Un mese dopo la situazione è ancora di emergenza ma l'esperienza di Merlara ha acceso i riflettori sulle prede più facili di questo virus: le case di riposo. «Siamo stati i pionieri, speriamo che tutto questo serva almeno a prevenire altre morti».
M.E.P.
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