IL CASO
PADOVA «La vergogna più grande è che l'Enpam, la cassa

Lunedì 25 Gennaio 2021
IL CASO
PADOVA «La vergogna più grande è che l'Enpam, la cassa di previdenza ed assistenza dei medici, non dia alcun appoggio a chi si ammala di coronavirus. Io verso soldi dal 1978 e sono mesi che non lavoro, eppure non è previsto alcun sostegno». Lo dice il dottor Gianni Calabrese, 68 anni, odontoiatra di professione, che da maggio ai primi di novembre era andato a dare man forte ai colleghi nei pronto soccorso di Bibione, Caorle, Portogruaro, Sandonà e Auronzo. Già consigliere comunale e vicepresidente del Consiglio di Palazzo Moroni sotto la giunta Destro, due mesi fa si è ammalato di Covid e, in breve tempo, il suo quadro clinico è precipitato. Calabrese è stato intubato nella terapia intensiva dell'ospedale Sant'Antonio, poi è stato trasferito all'ospedale di Conselve, dov'è attualmente ricoverato.
Dottor Calabrese quando pensa di aver contratto il coronavirus?
«Non posso dirlo con certezza, ci si può contagiare ovunque. Ma rimane il fatto che la prima settimana di novembre ho lavorato al pronto soccorso di Auronzo, dopo poco lì è stato scoperto un focolaio Covid. Ogni giorno avevo a che fare molti pazienti. Ma non mi lamento, il dovere di un medico è quello di stare in prima linea. Ho scelto questo lavoro quando avevo vent'anni e ne vado ancora fiero. Non è un problema di dispositivi di protezione perché ci sono e sono efficienti. Io ho sempre avuto la massima attenzione, ma mi sono ammalato comunque».
Siete una categoria a rischio, ma senza tutele?
«Sì, siamo una categoria a rischio e in quest'emergenza l'Enpam è come se non esistesse. Sono molto demoralizzato. Da un certo punto di vista posso dire di star bene, visto che ho passato quasi due mesi in terapia intensiva ed ero più di là che di qua. Ma sono ancora allettato, non mi sento autosufficiente perché questa malattia mi ha preso anche i muscoli, faccio fatica anche solo a mettermi in piedi. Le gambe le muovo, ma faccio fatica perfino a stare seduto. Per riprendermi avrò bisogno di molta fisioterapia. Questa maledetta malattia prende i polmoni e non respiri, ti sembra di morire».
Come vede la sua vita dopo la dimissione?
«Ero abituato a una vita attiva, non vedo l'ora di rimettermi in piedi anche per provvedere ai miei cinque figli. Ne ho tre piccoli e hanno ancora bisogno di me. Però non credo sarà così facile. In questo momento mi manca casa, stare accanto alla mia famiglia».
Conosce altri colleghi che si sono ammalati?
«Sì, molti. Il mio medico di base, il mio cardiologo e non solo. Indubbiamente non hanno avuto la gravità della malattia che ho sofferto io. Sono rimasti in ospedale appena una settimana».
Che ricordi ha del ricovero?
«Non ne ho, quando mi sono svegliato dal coma in rianimazione pensavo di aver fatto un incidente stradale. Lì per lì non ho pensato al coronavirus. In generale ringrazio tutti i colleghi che mi hanno seguito durante il mio ricovero, sono stato trattato benissimo».
E dell'arrivo del vaccino antiCovid cosa pensa?
«Non vorrei che la gente pensasse che basta fare il vaccino per fare quello che si vuole. Questo maledetto virus lo ritroveremo in giro per un po' di tempo e quindi dovremo abituarci a fare una vita diversa».
Elisa Fais
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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