Ergastolo alla Cusin, condanna confermata

Martedì 30 Settembre 2014
(L.I.) La confessione è veritiera. Il racconto dell'imputata all'ex compagno e il contenuto delle intercettazioni ambientali sono «sostanzialmente sovrapponibili salvo alcune discrasie comunque non decisive». Non solo. «Il confronto dei dati oggettivi risultanti dalla ricostruzione dell'omicidio Armando con quelli risultanti dalla confessione dimostrano una piena corrispondenza in tutti i particolari». Sono i passaggi chiave della sentenza con cui il 9 maggio scorso la prima sezione della Corte d'Assise d'Appello di Venezia (presidente Daniela Perdibon) ha confermato la condanna all'ergastolo già inflitta in primo grado ad Alessandra Cusin, la 38enne padovana per ora unica imputata per l'omicidio di Maria Armando Montanaro, uccisa con 21 coltellate il 23 febbraio 1994 nella sua casa a San Bonifacio (Verona). La donna era finita nei guai sedici anni dopo i fatti grazie ad alcune intercettazioni ambientali dei carabinieri nelle quali confidava al fidanzato, il pregiudicato Mauro Franco, di avere ucciso Maria Armando. Alessandra Cusin non ha negato di aver parlato della sua partecipazione al delitto ma ha poi fatto marcia indietro sostenendo che quelle dichiarazioni le servivano per apparire di fronte a Franco come persona dotata di sufficiente caratura criminale in vista della progettata rapina ai danni degli anziani zii della donna. La sua versione, non sostenuta da elementi probatori di riscontro, non ha per nulla convinto la Corte: «Non si comprendono le ragioni per cui l'imputata avrebbe dovuto coinvolgere in un'azione criminosa alla quale si era inventata di aver partecipato - solo per fare bella figura davanti al compagno - anche altre persone e raccontarne in modo così dettagliato i particolari». All'omicidio avrebbero preso parte anche le due figlie della vittima Cristina e Katia Montanaro (la seconda solo come mandante) l'amica Marika Cozzula e l'allora fidanzato di Cristina, l'italo-argentino Salvador Versaci, tutti indagati a piede libero e in attesa di finire sotto processo. Secondo i giudici la Cusin non può aver inventato la sua partecipazione al delitto «perchè sarebbe stato impossibile conoscerne e ricordarne a distanza di tanto tempo tutti i particolari senza avervi effettivamente partecipato». L'imputata è stata condannata a pagare una provvisionale di 20mila euro al fratello della vittima, Cesare Armando, parte civile con l'avvocato Luca Tirapelle. Il difensore, l'avvocato Enrico Cogo, ha preannunciato ricorso in Cassazione.

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