Due rapine e quelle vite unite da un solo destino

Giovedì 21 Giugno 2018
LA COMMEMORAZIONE
PADOVA «Questo è una sorta di viaggio nella memoria, sulle orme di chi ci ha indicato la strada e prima di noi ci ha detto come percorrerla».
È da poco passato mezzogiorno quando il capo della polizia Franco Gabrielli, dagli scalini della caserma di via Diaz, dove ha sede il Servizio tecnico-logistico e territoriale della polizia di Stato per il Triveneto, dà la cifra della giornata padovana di ieri.
Iniziata per il numero uno della polizia, con l'intitolazione della caserma della polizia ferroviaria (al binario 1 della Stazione Centrale) alla memoria dell'agente scelto di polizia Arnaldo Trevisan e conclusa - dopo la firma che suggella il via alla nuova Questura di Padova in via Anelli - con l'intitolazione della caserma amministrativa di via Diaz all'assistente della polizia Giovanni Borraccino e all'agente ausiliario Giovanni Coffen. Vittime di rapinatori che li hanno uccisi mentre stavano svolgendo il loro compito: Arnaldo Trevisan ucciso a 22 anni durante il tentativo di sventare una rapina a un ufficio postale di via lando il 16 maggio 1988, e la coppia Borraccino-Coffen freddata con colpi alla schiena durante una rapina ad un ristorante alle Padovanelle il 5 aprile 1991.
«Se il nostro lavoro, che spesso viene visto come un obbligo, non fosse innervato da passioni e valori, allora potrebbe rappresentare un'inutile fatica. Ma così non è: spesso siamo messi di fronte a orrori e miserie ha continuato Gabrielli di fronte alla caserma di via Diaz, ora caserma Borracino-Coffen - ma se questa fosse una fatica senza significato, allora non avremmo ragione d'essere. Noi indossiamo questa divisa per stare vicino alla comunità, la polizia non dice non è affar mio ma si occupa di quello a cui viene posta davanti. Le storie di questi tre colleghi sono l'esempio di chi, senza titubanza e senza fare calcoli, ha sacrificato la propria vita. E sono esempi che vanno sempre tenuti presente».
Parole, pronunciate in chiusura di mattinata, che però hanno fatto eco a quanto detto dal capo della polizia nel primo appuntamento, alla stazione di Padova. «Se non fosse successo quello che stiamo ricordando a distanza di trent'anni - ha esordito Gabrielli di fronte ai familiari di Trevisan - oggi Arnaldo avrebbe 52 anni e sarebbe ancora in prima linea nelle nostre questure. Ma lui, al crepuscolo di quelli che la Storia chiamerà anni di piombo, ha donato la vita con slancio e generosità tipica di chi, indossando una divisa, non indossa solo un indumento ma si veste di passioni e valori. Arnaldo Trevisan fa parte di quella categoria di persone da guardare e ammirare, perché ci hanno indicato la strada da percorrere e il modo giusto in cui farlo. Questi esempi devono essere il filo conduttore delle azioni di ogni nostra giornata. Quando i poliziotti entreranno in questa caserma in stazione, o quando cittadini e passeggeri poseranno lo sguardo su questa lapide - ha concluso il capo della polizia - penseranno ad un ragazzo che per noi è esempio e motivo di orgoglio. Grazie a chi, per questi sacrifici e per queste mancanze, soffre ancora».
«Donare il nome a una caserma è attribuire un'anima - ha aggiunto Franco Fiumara, direttore centrale della protezione aziendale di Ferrovie dello Stato, riferendosi all'intitolazione della caserma ad Arnaldo Trevisan - ed è un dono che rimane a tutti noi, alla città. È anche il ricordo di quello che tutti i giorni ogni poliziotto fa, in silenzio e senza clamore».
Una giornata intensa per la polizia di Stato di stanza a Padova. «Esempio come quelli di Borraccino e Coffen - le parole del questore Paolo Fassari davanti alla caserma di via Diaz - ci insegnano la generosità di chi ha donato a tutti noi un modo di intendere il servizio fino in fondo. Questa lapide è rivolta all'esterno, che tutti la possano leggere per onorare questi poliziotti».
Nicola Munaro
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