Contagi sul lavoro, oltre 1.700 denunce

Lunedì 25 Gennaio 2021
IL RAPPORTO
PADOVA Il primo elemento che salta subito all'occhio dice che oltre l'ottanta per cento dei contagi sul luogo di lavoro riguarda il personale del settore sanitario. Il secondo mostra che le donne sono il triplo rispetto agli uomini. Ma dall'ultimo rapporto Inail, appena pubblicato e relativo all'intero 2020, emerge anche molto altro. Le denunce per infortunio sul lavoro relative al contagio da Covid sono 1.759 in tutta la provincia di Padova e rappresentano quasi il 14% del totale regionale. La stragrande maggioranza dei casi riguarda ospedali e case di riposo. Se in Veneto sono stati appurati dieci decessi dopo un contagio avvenuto lavorando, nel Padovano non se ne conta nemmeno uno.
LA LEGGE
Tutto parte dal decreto Cura Italia dello scorso 17 marzo, firmato dal governo in piena prima ondata. L'Inail, istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, fornisce ai lavoratori dipendenti «tutela infortunistica ai lavoratori che hanno contratto l'infezione Sars-Cov-2 in occasione di lavoro. L'indennità per inabilità temporanea assoluta copre anche il periodo di quarantena o di permanenza domiciliare fiduciaria». Il riconoscimento dell'origine lavorativa del contagio non ha alcuna correlazione con eventuali responsabilità civili e penali del datore di lavoro, ipotizzabili solo in caso di mancato rispetto dei protocolli anti-Covid.
I NUMERI
L'ultimo rapporto dell'istituto si concentra sulle denunce ricevute, poi bisognerà capire quanti saranno i casi effettivamente accertati. Il documento parla per la provincia di Padova di 485 uomini e 1.274 donne. La stragrande maggioranza ha tra i 35 e i 64 anni, ci sono però anche 376 lavoratori under 34. Sono invece 19 i lavoratori over 64 che si sono ammalati sul posto di lavoro. Parliamo solo di lavoratori dipendenti. L'indennizzo non riguarda i liberi professionisti come ad esempio i medici di famiglia.
Interessanti i dati regionali sulle professioni interessate. La gran parte dei lavoratori è occupato in attività sociosanitarie: 79%. Il rimanente 21% è distribuito in tutti gli altri settori come scuola, industria, agricoltura e terziario. Le professioni più colpite sono tecnici della salute (in gran parte infermieri): 36% del totale. Troviamo poi operatori socio sanitari (28%) e medici (7%). Altre professioni che si evidenziano nel report sono personale delle pulizie e lavoratori delle produzioni alimentari (uno dei principali focolai aziendali si è verificato lo scorso autunno al Centro Carni di Tombolo).
I SINDACATI
Samuel Scavazzin, segretario generale della Cisl di Padova, fino a pochi anni fa era membro del comitato consultivo provinciale dell'Inail. «La denuncia di infortunio sul lavoro - spiega - viene fatta tramite un avvocato, un patronato o un medico. Inail si fa mandare tutti gli incartamenti e poi dopo aver approfondito la posizione procede con l'indennizzo economico. Ovviamente deve essere appurata una chiara situazione di contagio, un piccolo o grande focolaio. Se in fabbrica sono l'unico dipendente positivo difficilmente avrò contratto il virus al lavoro. Questi numeri in ogni caso testimoniano come le aziende abbiano quasi sempre rispettato i protocolli: focolai negli uffici e nelle fabbriche non ci sono praticamente mai stati. C'è grande senso di responsabilità da parte di lavoratori e datori di lavoro, quando si fanno partecipare attivamente i dipendenti tutto va meglio».
Chi conosce benissimo la realtà sanitaria è il dottor Giampietro Avruscio, angiologo dell'Azienda ospedaliera, presidente padovano dell'associazione dei primari ospedalieri (Anpo). «È molto importante che le infezioni siano state equiparate agli infortuni sul lavoro: è il riconoscimento dei rischi corsi ogni giorno anche e soprattutto da un personale sanitario che nei primi giorni dell'emergenza faceva pure fatica a reperire adeguati dispositivi di protezione. Ora aspettiamo gli indennizzi anche se è ancora presto per calcolare la quantità economica: dipenderà dalla durata della convalescenza e dalle condizioni cliniche. Non sappiamo nemmeno con certezza quali sono gli effetti lasciati dal Covid a lungo termine».
Anche le residenze per anziani sono un luogo ad alto rischio e Roberto Volpe, presidente dell'Unione regionale delle case di riposo, ha un giudizio molto netto: «Le nostre strutture non sono un covo di contagio, noi siamo solo vittime».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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