Coccato torna a casa, ma senza la bambina

Sabato 14 Dicembre 2019
IL CASO
BRUGINE Due notti in stato di fermo in una piccola cella del posto di polizia all'aeroporto di Cartagena de Indias. Quarantotto ore da incubo con le lacrime agli occhi e con un pensiero fisso in testa: prendere ancora in braccio la bimba di 18 giorni appena adottata in Colombia. Mirko Coccato, trentanovenne di Brugine, è stato liberato e sta per tornare a casa. Sognava di farlo assieme alla moglie e alla piccola, invece ieri pomeriggio è salito in aereo da solo ancora stravolto e sconvolto. Ha dovuto stracciare il biglietto che martedì l'avrebbe portato a Venezia via Panama e Amsterdam. Ora è pronto ad acquistare un nuovo biglietto, ma nel bagaglio si porta dietro soprattutto un'esperienza terribile che non scorderà mai.
IL DESIDERIO
Coccato, sposato da dieci anni con una donna colombiana, era partito per il Sudamerica lo scorso 28 novembre con l'intenzione di adottare la figlioletta appena partorita dalla cugina della moglie. «La mamma naturale vive in Colombia e aveva intenzione di abortire - racconta ora - perché era rimasta incinta ma non poteva permettersi di mantenere questa bambina. Sarebbe stata una ragazza-madre. Noi ci eravamo proposti per aiutarla, ma lei non voleva farla crescere in quel Paese. Allora abbiamo deciso di adottarla e portarla in Italia». Il desiderio era limpidissimo, meno il modo in cui il passaggio sia avvenuto: «Mi sono fidato di un avvocato colombiano che mi ha consigliato male - ammette Coccato -, credevo bastasse riconoscere la figlia e dichiararmi padre, invece avrei dovuto passare per un giudice e fare un'adozione seguendo la legge». La legge invece non è stata affatto rispettata e il trentanovenne si è infilato in una brutta storia. Anzi, di più. In un vero caso internazionale.
LA SCOPERTA
Succede tutto martedì, quando Coccato, la moglie e la bimba sono pronti a volare verso l'Europa. Sorridono, si scambiano baci e si scattano selfie. Il loro castello di felicità, però, crolla improvvisamente davanti al banco aeroportuale dell'Ufficio Immigrazione. Il padovano tiene in braccio la neonata e mostra i documenti che attesterebbero che quella bimba è sua figlia. I poliziotti controllano il passaporto ma scuotono immediatamente la testa. No, c'è qualcosa che non va: l'italiano non è e non può essere il padre biologico della neonata. Dalle carte emerge che l'uomo era stato in precedenza in territorio colombiano altre quattro volte, ma che nessuna di esse coincideva con la sua presunzione di paternità. L'ultima volta che era stato nel paese sudamericano, infatti, è stato ben 17 mesi fa. Impossibile, dunque, che avesse concepito la figlia in Colombia. Coccato viene posto in stato di fermo, mentre la polizia controlla i suoi movimenti da e per la Colombia. L'intervento degli agenti viene filmato e fa il giro delle tv locali. La neonata viene affidata ad una comunità protetta e Coccato rinchiuso in una cella. Sempre martedì, il colpo di scena: all'aeroporto si presenta la madre naturale della piccola, che in lacrime spiega tutto: «È mia figlia, l'ho data a lui perché potesse avere una vita migliore in Italia».
LA SUA DIFESA
Dopo due notti con il cuore in gola, giovedì mattina Coccato viene liberato. «Nessuna imputazione, mi hanno fatto ripartire» racconta. Il padovano ha capito i propri errori e ha deciso di tornare in Italia ma intanto, dall'aeroporto colombiano, si sfoga: «Mi sono fidato di chi non dovevo e so di essere stato troppo precipitoso. Io e mia moglie non abbiamo figli naturali e volevamo solamente fare il bene di quella piccola. Ora lei è rimasta lì sperando di riuscire a fare tutte le carte necessarie per poter regolarizzare l'adozione e partire. Io tornerò a casa e al lavoro (è dipendente per una ditta di grossisti al Mercato agroalimentare di Padova, ndr) ma se serve sono pronto a volare nuovamente in Colombia. Pensando a quella piccola non smetto di piangere». Il trentanovenne sarà nuovamente a Brugine tra domani e lunedì. Guarderà la cameretta dove tutto era già pronto per accogliere la piccola, ma ripenserà anche alle notti in cella. L'abbraccio con la figlioletta per ora resta immortalato solo nel display del suo cellulare. «Ho capito dove abbiamo sbagliato - mormora - ma adesso la aspetto».
Gabriele Pipia
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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