La crisi economica fa più paura del contagio

Mercoledì 22 Settembre 2021
IL SONDAGGIO
Dunque: non è stata questione di qualche mese e non è andato tutto bene. Ma la domanda che si affaccia da quel 20 febbraio del 2020 è sempre la stessa: quando finirà tutto questo? Secondo i dati analizzati da Demos per l'Osservatorio sul Nordest del Gazzettino, oggi è il 6% degli intervistati a pensare che la pandemia si chiuderà con il 2021, mentre la maggioranza (53%) sposta l'agognato traguardo a non prima dell'anno prossimo. Il 41%, però, pensa che non passerà e dovremo imparare a convivere con il Covid-19.
Se guardiamo alla serie storica, possiamo trarre indicazioni interessanti. Nel corso del 2021, è via via diminuita la quota di intervistati che lo giudicava l'anno giusto per la parola fine: dal 23% di febbraio all'attuale 6%, il segno è negativo di 17 punti percentuali. Sostanzialmente invariata, invece, appare la percentuale di chi individua nel 2022 quello utile per dichiarare vinta la guerra al virus (53-54%). Ad essere quasi raddoppiata (dal 23 al 41%), invece, è la componente dell'opinione pubblica che si dice convinta che non ci sarà fine, ma che dovremo imparare a convivere con il Covid-19.
Così, appaiono più chiare anche le ampie preoccupazioni sul rischio di un nuovo lockdown (65%), oppure di non potersi più liberare di mascherine e distanziamento sociale (59%), o ancora che nel Paese scoppino proteste violente (53%).
LE CATEGORIE
I settori di popolazione in cui questi timori appaiono più ampi sono piuttosto precisi: questi, infatti, tendono a crescere in misura maggiore tra le donne, i giovani tra i 25 e i 34 anni o le persone di età centrale (34-44 anni). Dal punto di vista socioprofessionale, invece, questi timori appaiono piuttosto trasversali e interessano operai e impiegati, lavoratori autonomi e imprenditori, disoccupati e casalinghe. Infatti, più che il contagio, sono gli effetti della crisi economica e sociale che derivano dal Covid a intimorire i nordestini. Oggi, è il 41% degli intervistati a dichiararsi preoccupato per il rischio di essere contagiato dal Coronavirus (-6 punti percentuali rispetto a maggio dell'anno scorso). Chi guarda con maggiore ansia all'ipotesi di ammalarsi sono le persone di età centrale (45-54 anni, 45%) e gli anziani con oltre 65 anni (53%), insieme a casalinghe (58%) e pensionati (52%).
Dall'altra parte, dunque, sono aumentati coloro che mostrano ansia per le conseguenze economiche e sociali della pandemia: dal 53% di un anno e mezzo fa, la quota ora sfiora il 60%. È soprattutto tra i giovani con meno di 35 anni ad acuirsi questa preoccupazione (69-79%), ma dal punto di vista socioprofessionale ritroviamo la trasversalità osservata anche poc'anzi. Operai (73%) e impiegati (62%), imprenditori (70%) e studenti (79%), liberi professionisti (66%) e disoccupati (68%).
Così, mentre cresce l'idea che con il Covid-19 bisognerà convivere, sembra emergere l'urgenza di lavorare sulle conseguenze sociali del virus. Per questo, però, il vaccino non si fa in laboratorio, ma nelle comunità, ed è la buona politica, a tutti i livelli, a doverlo mettere a punto.
Natascia Porcellato
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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