Veleni nel sangue, Miteni chiude

Sabato 27 Ottobre 2018
LA CHIUSURA
VENEZIA Se non ci sarà un compratore, 122 persone resteranno senza lavoro. La loro fabbrica, la contestata Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza, ritenuta responsabile dai tempi della Rimar del conte Giannino Marzotto di una delle più grandi e gravi forme di inquinamento della falda acquifera a causa dei Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche, chiuderà i battenti. Ieri mattina il consiglio di amministrazione ha deliberato il deposito dell'istanza di fallimento. Una decisione maturata dopo l'ultima diffida della Provincia di Vicenza che imponeva di mettere in sicurezza i pozzetti di scarico di emergenza. Per Miteni, che ha continuato a ripetere che i suoi scarichi da molto tempo rispettano i limiti indicati per le acque potabili, la decisione è irreversibile: ottemperare alle richieste dell'amministrazione provinciale equivaleva a bloccare la produzione. E così ha fatto. Fallimento, tutti a casa. Con l'unica promessa di adempiere comunque agli obblighi di messa in sicurezza degli impianti e presentare il piano di bonifica entro i tempi stabiliti.
LA COMUNICAZIONE
La Miteni si trova nell'occhio del ciclone da qualche anno anni, dopo che il Cnr ha segnalato che tra le province di Vicenza, Verona e Padova la falda acquifera è contaminata da Pfas. Veleni che dall'acqua si sono depositati nel sangue dei residenti della zona, tanto che è in corso un monitoraggio sulle persone e per un periodo è stata utilizzata la procedura di plasmaferesi. Comitati, Mamme no Pfas, attivisti di Greenpeace: le proteste contro Miteni sono riprese quest'estate quando sono state trovate nelle falde tracce di GenX, una sostanza cugina dei Pfas prodotta dalla fabbrica di Trissino. È da qui che è nato il braccio di ferro con la Provincia, finché Miteni ha gettato la spugna. Il Cda di Miteni Spa - recita la nota diffusa ieri - ha preso atto dell'impossibilità di attuare il piano industriale dell'azienda e ha deliberato la presentazione dell'istanza di fallimento presso il Tribunale di Vicenza. Il management ha rilevato l'impossibilità di giungere alla definizione certa dei tempi di sblocco delle due produzioni interdette e del susseguirsi di richieste fortemente onerose giunte, tramite diffide, dalla Provincia di Vicenza anche nel corso della procedura concordataria. Queste diffide comporteranno l'interruzione di tutte le attività produttive pur essendo in alcuni casi palesemente pretestuose e non riguardando anomalie conclamate o rischi per l'ambiente. Quanto al futuro, si cercano acquirenti che possano salvaguardare i posti di lavoro e un know how che rappresenta un'eccellenza nella chimica mondiale.
LE REAZIONI
La notizia del fallimento è passata quasi inosservata. O, meglio, la politica veneta ha ritenuto di non commentare. Pochissime le reazioni, tutte di fonte Pd. «Una via di fuga in piena regola, ora le istituzioni agiscano davvero a tutela del territorio», hanno detto i consiglieri regionali Stefano Fracasso e Cristina Guarda. «Questo è un modo per non pagare i costi della bonifica e per non risarcire i contaminati», ha aggiunto Andrea Zanoni. Giusto ieri mattina il M5s con la deputata Francesca Businarolo, il capogruppo in Regione Manuel Brusco, la consigliera comunale di Montecchio Maggiore Sonia Perenzoni e l'avvocato Edoardo Bortolotto hanno chiesto alla Procura Generale di togliere l'indagine alla Procura di Vicenza perché «non ha fatto nulla in tutti questi anni».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
© RIPRODUZIONE RISERVATA

PIEMME

CONCESSIONARIA DI PUBBLICITÁ

www.piemmemedia.it
Per la pubblicità su questo sito, contattaci