Mose, no alla revisione del processo Meneguzzo

Venerdì 19 Aprile 2019
LA SENTENZA
VENEZIA Non ci sarà revisione della sentenza per Roberto Meneguzzo, l'ex amministratore delegato di Palladio Finanziaria che a Milano il 5 novembre 2014 patteggiò due anni e sei mesi di reclusione, nell'ambito dello scandalo Mose. L'ha deciso la Cassazione, respingendo il ricorso del vicentino contro l'ordinanza della Corte d'Appello di Brescia, che a propria volta aveva dichiarato inammissibile la richiesta dell'imputato. Il 63enne era stato accusato di avere agito da intermediario in due presunti accordi corruttivi, tra aprile del 2010 e febbraio del 2011, conclusi da Giovanni Mazzacurati, all'epoca presidente del Consorzio Venezia Nuova.
IL CASO MILANESE
Il finanziere aveva presentato ricorso per entrambi i reati contestati. Per quanto riguarda il primo, la difesa aveva preso in considerazione l'esito a cui era pervenuto il processo a carico di Marco Milanese, già consigliere politico dell'ex ministro Giulio Tremonti. Secondo il Tribunale di Milano, Meneguzzo avrebbe dato denaro al pubblico ufficiale Milanese, perché svolgesse attività finalizzate allo sblocco di un finanziamento per il Mose. Invece la Suprema Corte aveva escluso che Milanese rivestisse la qualifica di pubblico ufficiale e aveva reputato che avesse mediato per corrompere pubblici ufficiali del ministero interessato: non risultando dimostrata l'effettività di tale corruzione, l'ex deputato era stato condannato per traffico di influenze illecite. Ritenendo che le due sentenze avessero operato una diversa ricostruzione dei fatti e che dunque fosse ravvisabile «una inconciliabilità dei giudicati», Meneguzzo aveva invocato il proprio proscioglimento, non potendo essergli attribuito nemmeno il traffico di influenze illecite, in quanto la norma era stata introdotta solo nel 2012. Quanto al secondo episodio incriminato, l'investitore d'affari aveva chiesto che la sua posizione venisse riconsideratasulla base delle dichiarazioni rese da Milanese, il quale aveva escluso che i contatti significativi ai fini della condotta illecita fossero stati assunti su iniziativa del vicentino.
LE MOTIVAZIONI
Come già la Corte d'Appello di Brescia, nel luglio scorso, ora pure la Cassazione ha però ritenuto infondata l'istanza, stabilendo che debba restare valido quanto disposto dalla sentenza di applicazione della pena, «caratterizzata dalla assenza di accertamento dei fatti e da una valutazione delle prove implicita». Per gli ermellini, «la inconciliabilità deve riguardare esclusivamente i fatti e non anche le valutazioni dei fatti» e le nuove prove «possono essere solo quelle che, in base ad una semplice constatazione, senza un vero e proprio accertamento, consentano il proscioglimento immediato». Si legge ancora nelle motivazioni: «Se le prove già in atti avessero dimostrato con evidenza le ragioni del proscioglimento la parte avrebbe dovuto sollecitare il giudice al riguardo». Quindi prima di patteggiare, non adesso.
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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