Lei fresca di elezione, loro freschi di laurea. «Voi siete l'argento vivo della

Domenica 27 Settembre 2020
Lei fresca di elezione, loro freschi di laurea. «Voi siete l'argento vivo della nostra società», ha detto Tiziana Lippiello ai cinquecento ragazzi riuniti l'altro giorno in piazza San Marco per la terza edizione del Giorno della Laurea dell'Università Ca' Foscari di Venezia. Un messaggio dettato più dal cuore che dal ruolo, anche se tra pochissime ore la docente di Lingua e letteratura cinese classica sostituirà Michele Bugliesi alla guida del prestigioso ateneo. Ventitreesimo rettore di Ca' Foscari, per la prima volta nella sua storia una donna rettore. Anzi, rettrice, come ha espressamente chiesto di essere chiamata. L'insediamento giovedì prossimo 1° ottobre.
Tiziana Lippiello è nata a San Vito al Tagliamento nel 1962, abita tra Portogruaro e Venezia, è sposata con Francesco D'Arelli, direttore dell'Istituto italiano di cultura a Montréal (scherza: «Come stiamo uno in un continente e uno in altro? Benissimo, non si litiga»), ha due figlie, Alessandra di 21 anni e Sofia di 18, entrambe dedite a studi scientifici, Farmacia e Ingegneria ambientale, a Trieste.
Rettrice Lippiello, lei si è laureata a Ca' Foscari nel 1986 in Lingue orientali quando il cinese non era minimamente considerato.
«Sì, all'epoca il cinese era visto come qualcosa di esotico, nessuno a quei tempi pensava che la Cina sarebbe diventata una potenza mondiale. Studiare cinese era considerato quasi una scelta élitaria perché non dava sbocchi occupazionali. Infatti i miei genitori non volevano».
Che cosa ha fatto scattare la molla per il cinese?
«Mi affascinava la cultura cinese, è stato l'interesse per la filosofia. Ca' Foscari è l'università in Italia dove più si è sviluppato lo studio della Cina classica».
Ancora tanti pregiudizi nei confronti dei cinesi?
«Moltissimi. Prima di tutto per il regime totalitario, che è innegabile. Poi c'è il fatto che qui in Veneto non abbiamo una tradizione antica di immigrazione, radicata com'è a Milano o a Roma, da noi gli immigrati cinesi provengono tutti dalla stessa regione. È come quando noi italiani siamo andati in Argentina, eravamo tutti gelatai e cuochi. Lo stesso vale per i cinesi che si sono stabilizzati qui, non sono di alta o media estrazione sociale. Ma la presenza della comunità che c'è ad esempio a Mestre, le botteghe di paccottiglia, l'idea che copino e basta, non è rappresentativa delle classi sociali cinesi. Quando si va in Cina si trova una società con tante contraddizioni, c'è anche tanta povertà, ma è anche una società molto evoluta».
Quante volte è stata in Cina?
«Tantissime, quasi tutti gli anni».
Quanto tempo ci vuole per imparare a parlare il cinese?
«Tantissimo. Questa Università ha sempre avuto una vocazione internazionale, noi come studenti andavamo in Cina al terzo anno, esattamente come adesso. La prima volta è stato choccante, non capivo niente. Non c'erano cellulari, non c'erano computer, non c'era niente, noi eravamo completamente isolati, in condizioni anche difficili, scorpioni in camera, docce comuni, non era facile».
Ha imparato a cucinare cinese?
«No, mi piace il cibo cinese, ma preferisco andare al ristorante, anche perché è talmente complicato trovare gli ingredienti».
Vuole essere chiamata rettrice, non rettore. Perché?
«Non è stata una scelta forzata, ci è venuto naturalmente perché a Ca' Foscari noi ci chiamiamo già così: rettrice mancava, ma direttrice lo dicevamo già. E poi so che le donne, ma anche gli uomini, preferiscono così».
La sua campagna elettorale - siete partiti in quattro candidati, alla fine ha battuto Monica Billio - non è sembrata caratterizzata dall'impronta rosa.
«Volutamente non ho enfatizzato questo aspetto. Non volevo far passare l'idea che si vince perché è il momento della donna, questo secondo me è umiliante nei nostri confronti».
Cosa pensa delle quote rosa?
«Sono una cosa giusta, ma bisogna capire cosa vogliono veramente dire: può capitare di non assumere ruoli di leadership ma magari lavorare più degli uomini».
(Ca' Foscari ha 606 docenti, 706 addetti dell'area tecnico-amministrativa, 22mila studenti di cui 29 rappresentanti chiamati al voto. Il totale dei votanti è stato di 1132 su 1341 aventi diritto, pari all'84%. Tiziana Lippiello ha avuto 381 voti, Monica Billio 322).
Secondo lei che cosa è piaciuto della sua proposta?
«Bisognerebbe chiederlo agli elettori. Io spero che sia stato il programma, la mia conoscenza dell'ateneo essendo stata sei anni prorettrice, molti mi hanno detto per il lavoro fatto a livello internazionale di cui si sono visti i risultati. E poi, forse, anche il buon rapporto che ho avuto con il personale».
Com'è nata la sua candidatura?
«Sono stata sollecitata da alcuni colleghi. Confesso anche dalla mia famiglia, mio marito, le mie figlie: sei arrivata fin lì, mi hanno detto, perché non compiere un altro passo?».
Prima rettrice nella città che ha avuto la prima laureata, la veneziana Elena Lucrezia Cornaro Piscopia. Che impronta darà al suo ruolo?
«Coinvolgimento e valorizzazione del lavoro di tutti. E uno stile di management femminile. Cosa vuol dire? A parte il fatto che lavoriamo di più, abbiamo la capacità di saper fare un passo indietro, di lavorare per raggiungere i risultati senza occuparci della visibilità».
Ha detto che vorrebbe Venezia una città universitaria e non solo mèta di turisti. Il suo obiettivo?
«La mia speranza è dare un ruolo più incisivo all'Università in questa città, collaborare di più con le istituzioni, il Comune, la Regione, in modo integrato. E all'interno di questo sistema avere un ruolo in Italia, in Europa, nel mondo. Non da soli, ma anche con gli altri atenei».
Il suo primo esame lo ricorda?
«L'esame di cinese era durissimo».
Mai stata bocciata?
«No, ma ho rifiutato qualche 26, qualche 27».
Rispetto alla sua Università, come sono i ragazzi oggi?
«Sono più aperti mentalmente. Ma sono meno autonomi di noi nello studio perché hanno esami più piccoli e vanno seguiti di più. Diciamo la verità, la riforma Gelmini ha riformato l'ateneo in un grande liceo. Però nel mondo è esattamente come va qui adesso».
Preoccupata dell'esodo dei cervelli? O è un fenomeno sovrastimato?
«No, è reale. Anch'io sono andata via perché non ho avuto il dottorato in Italia, poi ho voluto tornare. Il nostro Paese non ha avuto una strategia di investimento a lungo termine, l'università non è esattamente il primo pensiero. I cinesi hanno dei piani pluriennali, mandano i loro ragazzi all'estero con delle borse di studio, ma poi se li riprendono. Anche noi abbiamo il rientro dei cervelli, ma a spot, serve una programmazione».
Tutti i ragazzi dovrebbero andare all'università o c'è bisogno del calzolaio e del metalmeccanico?
«Io direi che anche il ciabattino può esser colto, no? Avere tre anni di studio fa bene a tutti, premesso che tutti i lavori sono preziosi».
Il suo luogo elettivo?
«Amo il mare».
Un aggettivo per descrivere suo marito.
«È una persona che scherza molto e allo stesso tempo austera. Riflessivo, molto».
Un capo di abbigliamento che non indosserebbe mai.
«La minigonna. Neanche a 15 anni».
Il regalo più costoso ricevuto e da chi.
«L'orologio, da mio marito».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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