LA STORIA
VENEZIA Il primo giorno di primavera di cinquantatré anni fa venne

Domenica 12 Luglio 2020
LA STORIA VENEZIA Il primo giorno di primavera di cinquantatré anni fa venne
LA STORIA
VENEZIA Il primo giorno di primavera di cinquantatré anni fa venne stipulato un accordo sull'uso di un nome. Non un nome a caso. Già a quei tempi era noto, legato ad aperitivi (il Bellini) e piatti (il Carpaccio) che sarebbero entrati nei ricettari, a personaggi famosi, ma soprattutto a uno stile inconfondibile. Quello della «semplicità complessa». E di un comandamento: l'accoglienza. Quel 21 marzo 1967, a margine di una compravendita di azioni, si stipulò un accordo sull'utilizzo del nome Cipriani. Tolti la Locanda di Torcello, l'hotel alla Giudecca e l'albergo ad Asolo, per cinque anni nessuno dei due contraenti avrebbe potuto utilizzare il nome Cipriani per aprire nuovi locali. Uno dei due firmatari era Giuseppe Cipriani, il fondatore dell'Harry's Bar, il papà di Arrigo che, mezzo secolo dopo, continua a combattere a colpi di carte bollate. Perché i cinque anni sono passati e, dice Arrigo, «non si capisce perché la mia famiglia non possa usare il proprio nome nelle attività imprenditoriali».
Dappertutto? Dipende. «In America un giudice della Suprema Corte mi ha dato ragione. A Londra no. Solo in terra britannica abbiamo speso 19 milioni di sterline di avvocati e spese legali». E non è ancora finita: «A giorni avremo un'udienza in tribunale a Roma, vorrebbero far dichiarare la decadenza di una rivisitazione del nostro marchio». Arrigo Cipriani lo dice con il sorriso sulla bocca e con il piglio di chi non intende sorvolare. Anche se, finora, tutte queste carte bollate sono costate una cifra spropositata: «Venticinque milioni di euro».
Eppure, i tanti ristoranti aperti in giro per il mondo in questi anni - oltre una ventina - sono arrivati dopo il concordato stop di un lustro. Solo che nel resto del globo il nome è accettato, in Italia e in Europa è una guerra. E pensare che il patto di 53 anni fa doveva essere «per difendersi da attacchi di terzi, non dai firmatari».
LA FIRMA
L'accordo del 21 marzo 1967 è legato all'hotel Cipriani alla Giudecca. La storia è nota: il padre di Arrigo, Giuseppe, che nel 1931 aveva fondato l'Harry's Bar e poi aperto la Locanda a Torcello, si innamora di un appezzamento di terra alla Giudecca, all'epoca un allevamento di maiali, e con l'apporto di Rupert Guinness, conte di Iveagh, che finanzia l'attività, costruisce l'albergo: 1958, nasce l'hotel Cipriani. Il successo è tale che nel 1962 il nobiluomo irlandese - e imprenditore della birra - chiede al suo socio Giuseppe di ricostruire l'hotel Belvedere ad Asolo. Che diventa Villa Cipriani. Intanto alla Giudecca viene costruita la piscina olimpionica, l'unica di tutta Venezia. E comincia il mito dell'ospitalità. E del lusso a letto. «Puoi avere la stanza più bella del mondo, con affreschi, tendaggi, suppellettili. Ma quando spegni la luce, il vero lusso è il letto. A partire dalla croccantezza delle lenzuola», dice Arrigo. Nel 1967 il conte di Iveagh muore e i nuovi amministratori decidono un aumento di capitale. Giuseppe Cipriani preferisce vendere le quote. È a quel punto che spunta il patto.
A firmare quel documento, il 21 marzo 1967, furono il direttore B.A. Norfolk per la Stondon, Ondale and Patmore Company Limited - Montreal, Canada e, per accettazione, Giuseppe Cipriani. Ci furono pure il visto con la postilla e per quanto occorra accettato di Arrigo Cipriani, di Lady Honor Svejdar in rappresentanza della Albergo Cipriani spa e di B.A. Norfolk in rappresentanza della Warren Realty Co. (Canada) Ltd.
IL DOCUMENTO
Il documento sanciva la vendita delle azioni da parte di Cipriani, ma fino alla fine dell'anno doveva svolgere - retribuito - le funzioni di presidente del consiglio di amministrazione. E poi c'era un articolo 3 intitolato Miscellanea rivolto a Cipriani. Testuale: Lei conviene che la Società potrà conservare la propria denominazione attuale e che l'Hotel Villa Cipriani di Asolo potrà conservare la propria insegna attuale, ed in generale che la Società e l'Hotel Villa Cipriani avranno diritto di usare il nome Cipriani in via esclusiva, anche dopo che sarà venuta a cessare ogni partecipazione Sua o della Sua famiglia al capitale della Società (...); Lei si impegna, inoltre, ad astenersi, ed a far sì che ogni persona della Sua famiglia si astenga, per il periodo di cinque anni da oggi, dall'iniziare nuove imprese con la denominazione Cipriani (...). Resta per altro inteso che Lei ed i Suoi successori ed aventi causa potranno continuare ad usare il nome Cipriani per la Locanda Cipriani di Torcello. Seguiva un altro comma, stavolta riferito alla società che si teneva l'albergo alla Giudecca: Noi ci impegniamo ad astenerci, per il periodo di cinque anni da oggi, dall'iniziare nuove imprese con la denominazione Cipriani se non con il Suo consenso.
LA CONTESA
Insomma, per cinque primavere non poteva esserci neanche uno spillo con la scritta Cipriani. E dopo? Dopo, tutte le iniziative dei Cipriani dentro e fuori il Paese hanno trovato un bombardamento di carte bollate. Da parte di chi? Dell'albergo della Giudecca che dalla Guinness è passato nel 1976 all'americano James B. Sherwood presidente della Sea Containers, da una cui costola è poi nata la società di gestione dell'Orient Express, quindi alla Belmond ora di proprietà della Lvmh di Bernard Arnault.
Le «ostilità» sono cominciate con l'uso del nome del ristorante aperto da Arrigo sulla Quinta Strada a New York, sono proseguite con il locale aperto a Londra (che ha dovuto cambiare denominazione) e continuano tuttora. Per dire: a Milano, in via Palestro, è in fase di avanzata costruzione Casa Cipriani, ristorante e spa: la diffida è già arrivata.
E pensare che, andando a ritroso, era stata la società dell'Hotel Cipriani a chiedere la registrazione, nel 1969, del marchio Cipriani, ottenuta nel 1971. «Ma doveva essere un'azione contro terzi, non contro le parti del patto», dice Arrigo. Il quale, a 88 anni, ha affinato, se mai ce ne fosse stato bisogno, determinazione e sense of humour. Rinunciare al proprio nome? Figuriamoci. Tanto che, a costo di altre carte bollate, l'ha fatto mettere anche sulle nuove porte dell'Harry's Bar la cui riapertura è prevista a breve: su una porta Harry's Arrigo, sull'altra Harry's Cipriani. «Una vita a difendere il nome di mio padre, figuriamoci se mollo».
Alda Vanzan
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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