LA RELAZIONE
VENEZIA Il titolo dice già molto: Comportamenti tendenzialmente

Domenica 10 Novembre 2019
LA RELAZIONE
VENEZIA Il titolo dice già molto: Comportamenti tendenzialmente omissivi e/o ingannevoli da parte del management Miteni. Tutto il resto è dettagliato nel capitolo della relazione dei carabinieri del Noe di Treviso, tecnicamente un'annotazione conclusiva di polizia giudiziaria, che costituisce una delle carte più pesanti nel mazzo in mano alla Procura di Vicenza, dove domani davanti al gup Roberto Venditti riprenderà l'udienza preliminare sul caso Pfas. La richiesta di rinvio a giudizio pende su 13 dirigenti, attuali o pregressi, delle varie società che si sono avvicendate nella proprietà dell'azienda di Trissino, mentre oltre 130 sono le persone fisiche e giuridiche che domanderanno di costituirsi parte civile, a cominciare dal ministero dell'Ambiente e dalla Regione, rappresentati nel procedimento rispettivamente dall'avvocato dello Stato Flavio Bonora e dal penalista Fabio Pinelli.
LE INFORMAZIONI
La tesi dell'accusa è così sintetizzata dal Nucleo operativo ecologico: «Il management della Miteni in taluni casi ha omesso di comunicare determinanti informazioni agli enti/organi di controllo, ovvero tali indicazioni sono risultate essere fraudolente al fine di non far ricondurre alla società Miteni, attualmente di proprietà dell'Icig, le responsabilità circa la consapevolezza dell'inquinamento del sito». Per quanto riguarda le informazioni che sarebbero state nascoste alle istituzioni, tra cui gli uffici regionali, gli investigatori citano cinque esempi. Innanzi tutto: «La documentazione relativa all'evento di inquinamento causato dalla Rimar nel 1975, nonché gli studi ambientali eseguiti dalla Ecodeco nel 1990 e gli studi effettuati dalla Erm Italia del 1996, 1997, 1998, 2004, 2008 e 2009 dai quali emergeva un grave inquinamento del sito». Poi: «Le vere finalità per cui era stata realizzata la barriera idraulica nel 2005». Quindi: «L'evento di inquinamento riscontrato durante le analisi della falda sotterranea eseguite nel 2009». Ancora: «Le analisi eseguite dal laboratorio interno alla Miteni e quelle commissionate a laboratori esterni (...). In merito, va evidenziato che alcune analisi effettuate da laboratori esterni hanno rivelato nel 2007 e nel 2013 concentrazioni elevatissime di Pfoa: 28400; 26500; 21100; 17500; 1600 microgrammi per litro». Infine: «La documentazione relativa alla controversia Mitsubishi/Enichem sul trattamento/smaltimento dei rifiuti che viene menzionata a proposito del tentativo di rivalsa della Miteni/Icig nei confronti della Mitsubishi Corp per i rifiuti rinvenuti lungo il torrente Poscola il 25 gennaio 2017». Tutto questo, secondo gli inquirenti, sarebbe stato taciuto.
I COMPORTAMENTI
Quanto ai comportamenti ingannevoli che sarebbero stati adottati dall'impresa, il Noe indica tre grandi questioni. La prima: «Il tentativo di ricondurre l'inquinamento della falda riscontrato nel 2013 all'incidente verificatosi nel 1976, nonché alla gestione da parte di Rimar Chimica Spa, escludendo in ogni caso la possibilità di un contributo attuale alla riscontrata presenza nella falda delle sostanze nitroalogeniderivati e Pfoa». La seconda: «La comunicazione del 2005 finalizzata a dissimulare le vere finalità per cui era stata realizzata la barriera idraulica (...). In merito, dopo lo scoppio del caso Pfas del 2013 la Miteni ha tentato di indurre gli enti e organi di controllo a credere che la barriera idraulica fosse stata realizzata solo a seguito della bonifica avviata nel 2013». La terza: «L'errata datazione dell'anno di cessazione di produzione del Pfoa». Per quest'ultimo aspetto, in particolare, il rapporto consegnato ai sostituti procuratori Hans Roderich Blattner e Barbara De Munari sottolinea «il tentativo della Miteni di indurre gli enti/organi di controllo e l'opinione pubblica che la società aveva già interrotto la produzione di Pfas a catena lunga», come Pfoa e Pfos, «ben due anni prima dello scoppio del caso Pfas del 2013».
LA DITTA
Al proposito è stato estrapolato uno stralcio della nota del 23 luglio 2013, inviata da Miteni agli enti e organi competenti in qualità di «soggetto non responsabile della potenziale contaminazione», in cui la ditta affermava «che le produzioni di Pfoa e Pfos hanno subito negli anni drastiche riduzioni (diminuendo del 50-70% dal 2001 al 2011) fino ad arrivare alla loro completa cessazione nel 2011». Questa versione era stata ribadita dai vertici aziendali anche nelle interviste televisive e nei comunicati stampa, come quello diffuso il 21 aprile 2016 per respingere le contestazioni ricevute dalla Regione: «Miteni non produce più da anni Pfos e Pfoa, dal 2011, e ancora prima i reflui delle lavorazioni erano inviati a sistemi di trattamento esterni. Pfos e Pfoa vengono usati tutt'oggi da oltre duecento industrie del settore conciario e manifatturiero presenti nella zona che li acquistano sul mercato estero, imprese che sono allacciate agli stessi scarichi consortili a cui è allacciata Miteni». Sul punto i carabinieri sono però perentori: «Contrariamente a quanto sostenuto pubblicamente dalla Miteni, nei documenti ufficiali è indicato chiaramente che la produzione dei Pfas a catena lunga (cosiddetti C8, per esempio Pfoa e Pfos) è stata interrotta nel 2013 e non nel 2011».
Angela Pederiva
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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