LA RELAZIONE
VENEZIA C'è una tesi per cui spesso il lavoro delle procure

Sabato 25 Aprile 2020
LA RELAZIONE
VENEZIA C'è una tesi per cui spesso il lavoro delle procure contabili sia un freno al buon funzionamento delle pubbliche amministrazioni. Che, liberate dai legacci o dai cavilli posti da chi amministra quel tipo di giustizia, godrebbero di maggior efficienza perché non incatenate a miriadi di processi infiniti. Una tesi che Paolo Evangelista, procuratore della Corte dei conti del Veneto, smonta pezzo su pezzo nella relazione con la quale inaugura oggi (senza cerimonia per via del coronavirus) il nuovo anno giudiziario contabile. E, al contempo, tira le fila di dodici mesi importanti in cui si è chiusa la «vicenda corruttiva del Mose, tra le più sconcertanti della storia recente delle istituzioni venete». Una storia ancora al centro delle indagini della procura erariale per «alcune condotte che avrebbero causato aggravio di costi ed ingiustificati ritardi nel completamento delle opere».
L'ANALISI
L'analisi parte però puntando sulla pubblica amministrazione. «Non trova alcun fondamento - scrive il procuratore di palazzo dei Camerlenghi nella sua relazione - la tesi secondo la quale la funzione esercitata dal pubblico ministero contabile favorisca la paralisi della firma dei dirigenti, per il timore di commettere errori, ed incentivi la cosiddetta burocrazia difensiva o, nell'ambito della responsabilità sanitaria, la cosiddetta medicina difensiva». Per Evangelista sono quindi altri i freni.
«Le cause ostative alla efficienza dell'agire dalla pubblica amministrazione - continua il procuratore - hanno ben altra origine, tra cui la (eufemisticamente) complessa disciplina normativa e regolamentare da applicare, ad esempio in materia di appalti pubblici ed immagino, al contrario, una pericolosa deresponsabilizzazione dei dirigenti pubblici laddove rispondano dei danni finanziari a loro imputabili esclusivamente a titolo di dolo».
RUOLO SBAGLIATO
Il destro per un'analisi che sa anche da richiamo alle responsabilità, lo fornisce l'analisi dei numeri messi insieme dalla Corte dei conti del Veneto nel 2019. In dodici mesi la Corte dei conti ha recuperati importi per 3,5 milioni di euro. Sempre nel 2019 sono stati emessi sequestri conservativi per 47,4 milioni di euro anche con operazioni innovative. In tutto 6.214 i fascicoli pendenti e di 1.548 istruttorie aperte, 768 si sono chiuse con un'archiviazione. La chiave di lettura la dà ancora il procuratore. «Spesso le denunce di asseriti danni erariali sono presentate da consiglieri di minoranza di Enti territoriali, i quali sottolineano solamente la diseconomicità o l'ingiustificata eccessiva onerosità di delibere di spesa approvate. Ebbene - continua - in questi casi è configurabile tutt'al più una responsabilità politica degli amministratori in carica che non può e non deve essere oggetto di sindacato del giudice contabile». Procedimenti devono essere aperti, anche d'ufficio, quando invece «si rinvengano costi dell'Ente indebiti - il cosiddetto danno erariale - ovvero spese sostenute o mancate entrate in violazione della disciplina normativa e regolamentare di settore».
IL GRANDE SCANDALO
Riannodando le fila delle varie sentenze emesse lo scorso anno, il numero uno di palazzo dei Carmelenghi richiama la condanna dell'ex Governatore del Veneto Giancarlo Galan a risarcire la Regione con 764.400 euro per aver dirottato 24 milioni destinati alla salvaguardia di Venezia nelle casse della Diocesi di San Marco per la ristrutturazione del Marcianum.
Mentre l'epilogo della vicenda Mose è considerata la sentenza di fine anno con cui erano stati condannati a risarcire lo Stato con 6,9 milioni di euro gli ex vertici del Consorzio Venezia Nuova e lo stesso Cvn. Tra i condannati anche Giovanni Mazzacurati, semplicemente il padre del Mose ed ex presidente del Cvn, morto il 24 settembre in California: unica condanna, seppur postuma, per lui nell'affaire Mose. «Per la determinazione del danno erariale - si legge nella relazione - la Procura ha ritenuto di avvalersi del criterio della traslazione dell'importo delle tangenti in termini di maggior costo dell'opera o della prestazione, considerando che le tangenti erogate abbiano comunque influito anche sulla formazione del prezzo chiuso, oltre che influire sul sistema dei controlli, con possibili riflessi sulla qualità dell'opera e conseguente aggravio di costi sull'amministrazione».
In tutto, le condanne per le mazzette del Mose che il 4 giugno 2014 decapitarono l'allora classe dirigente della Regione, si calcolano in 20,4 milioni di euro. E non è finita: «Sono tutt'ora in corso di approfondimento istruttorio alcune condotte che avrebbero causato aggravio di costi ed ingiustificati ritardi nella fase del completamento delle opere» conclude Evangelista. A cui fa eco il presidente della Sezione regionale di Controllo della Corte dei Conti del Veneto, Salvatore Pilato. È lui a inserire il Mose e la sua conclusione nella programmazione dei controlli di gestione per il 2020. Le dighe mobili per la salvaguardia di Venezia sono fianco a fianco ai fascicoli sulla Pedemontana e sullo stato di attuazione dei piani di razionalizzazione delle società a partecipazione pubblica nella gestione del bilancio della Regione Veneto e del bilancio degli enti locali e indagini ci saranno anche sul non corretto utilizzo delle risorse finanziarie pubbliche nel sistema socio-sanitario veneto.
Nicola Munaro
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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