IL DOLORE
FAGAGNA (UDINE) Raccontare un figlio che non c'è più, che

Lunedì 18 Novembre 2019
IL DOLORE
FAGAGNA (UDINE) Raccontare un figlio che non c'è più, che se ne è andato per sempre in una piovosa notte di novembre, è difficile quanto cercare un perché a un dolore che non trova parole. Marco Burelli ha detto addio sabato notte a suo figlio Daniele, 16 anni, un concentrato di gioventù, di voglia di vivere tutto e subito. Lo ha visto tra le lamiere dell'auto, ha gridato che quello era suo figlio, che voleva avvicinarsi, «ma mi hanno detto che non c'era più niente da fare», racconta al telefono con la voce che ogni tanto si incrina, lasciando spazio a un singhiozzo subito ricacciato indietro. E parla, parla come se le sue parole potessero far conoscere a tutti quel ragazzino che «a scuola era bravissimo ed era avanti rispetto al programma. Qualche ora fa mi ha chiamato il preside del Bearzi (l'istituto dove Daniele studiava) ed era commosso. Poi tutti i suoi compagni, gli amici perché era sempre allegro e benvoluto».
I RICORDI
Accanto al papà Marco c'è la nonna Ninfa, 93 anni, che il nipote lo ha cresciuto, insegnandoli anche le preghiere. «La faceva arrabbiare sempre - ricorda il papà Marco -, ma poi prima di andare a scuola le dava sempre dei bacioni». Daniele serviva a messa, portava la croce durante la processione e, da curioso del mondo qual era, si appassionava a tutto quello che faceva il papà, anche per la piccola pro loco di Battaglia di Fagagna. Sabato padre e figlio hanno trascorso il pomeriggio assieme, ancora una volta senza sapere che sarebbe stata l'ultima. «Io e lui stavamo costruendo il grande presepe a Battaglia e Daniele, quando ha finito di spostare le cose più pesanti, mi ha salutato ed è andato a casa a studiare. Poi è tornato a vedere a che punto ero e siamo andati in osteria anche con Giulio, il fratellino di 8 anni». Il papà ricorda che lui e Giulio hanno preso un bicchiere d'acqua normale, mentre Daniele gassata. Come le bollicine che voleva nella sua vita.
IL PATENTINO
«Mi chiamava vecchietto, ma quando qualcuno mi chiedeva se era mio figlio perché era ormai più alto di me di dieci centimetri, scherzando dicevo che erano tutti ormoni». Una cascata di ormoni che a sedici anni ti fa desiderare solo di vivere, provare, rischiare. Perché la morte è una cosa troppo lontana anche solo per prenderla in considerazione. Prende una pausa, papà Marco. Un profondo respiro che sembra togliergli l'aria. Ma ricomincia a parlare di Daniele come se le parole potessero tenerlo in vita. Ancora un po'. Racconta del figlio che stava prendendo il patentino ed era ormai pronto a fare l'esame «e quindi sapeva la teoria, cosa era permesso e cosa no»; che aveva studiato con la sorella Chiara di 18 anni che invece si stava preparando per la patente, quella da grandi. «A 14 anni non gliel'ho fatta fare, gli ho spiegato che era troppo piccolo - ricorda Marco Burelli -. E gli ho sempre insegnato a essere prudente, gli ho detto e ripetuto che non si doveva correre, soprattutto di notte, che non si doveva stare in giro fino alle 5 di mattina».
LA TRAGEDIA
Piange il papà mentre spiega di essere andato a trovare in ospedale gli amici che erano in macchina con Daniele. «Mi sento responsabile... Volevo sapere cosa avevano fatto, perché erano usciti a quell'ora ed erano tutti in macchina». E singhiozzando ricorda la notte senza stelle che gli ha portato via per sempre il figlio sedicenne. «C'era un temporalone, così io e mia moglie Enrica ci siamo alzati intorno all'una, abbiamo visto che in camera c'era solo Giulio, che Daniele non c'era. Mia moglie mi ha detto che probabilmente era in macchina, il suo rifugio per telefonare in pace. Ma, una volta usciti, ci siamo accorti che l'auto non c'era». Non ci hanno pensato un attimo, la mamma e il papà di Daniele, e con l'altra auto si sono messi alla ricerca del figlio. «Siamo andati a Fagagna da un suo amico, ma di lui non c'era traccia. Così ci siamo spostati verso Carpacco. Giravamo alla cieca non sapendo dove andare, cercavamo solo di trovare lui e l'auto. Poi siamo saliti verso Villanova e quindi verso Fagagna. E sullo stradone dove si vede bene anche lontano, abbiamo visto delle luci blu, tante. Dei lampeggianti». La corsa della disperazione, il dolore che spacca il cuore solo a sentire il racconto di un padre che ha perso il figlio. «Ho visto lui dentro l'auto - quante volte si spezza la voce prima di finire il racconto -, ma hanno cercato di fermarmi. Li ho spostati gridando che era mio figlio, era lui dentro l'auto. E mi hanno detto che non c'era più niente da fare». Non c'è nulla, se non il silenzio a fare da contorno a queste parole agghiaccianti. «E ora non c'è più - sussurra Marco Burelli -, non c'è più. Come farò, cosa farò. Era diventato lui l'uomo, era insostituibile... Come farò ora».
L'APPELLO
Lo strazio di un padre che comunque trova il coraggio per dire un'ultima cosa. E il suo diventa un appello, disperato, ai ragazzi come suo figlio: «Voglio dire che tengano ben presente che quello che ha fatto Daniele non si deve fare. Non è come un gioco del telefonino dove si hanno quattro, cinque vite. Non si fa, non si va in giro fino alle cinque di mattina. La vita è una. Una sola».
Susanna Salvador
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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