IL CASO
BREGANZE (VICENZA) Un record così se lo sognano perfino alla Bocconi,

Giovedì 18 Gennaio 2018
IL CASO
BREGANZE (VICENZA) Un record così se lo sognano perfino alla Bocconi, perché il 100 per cento di studenti che escono dalla scuola e trovano un lavoro nell'arco dei sei mesi non si verifica neppure nella fucina universitaria dei manager italiani. Bisogna naturalmente fare le debite proporzioni. Perché qui non siamo a Milano, ma in un istituto tecnico e professionale di Breganze, nel cuore di quel Nordest delle fabbrichette tanto citato nei convegni, ma poco conosciuto nella sua nascita e nei semi che continuano a rigenerarlo. Non si sfornano laureati, bensì tecnici od operai specializzati, quelle che un tempo erano le tute blu. Eppure è questo il luogo dove si ripete un piccolo, grande miracolo, frutto dell'incrocio tra scuola e mondo del lavoro, che porta allo stesso tempo alla formazione e alla piena occupazione.
L'Istituto Scotton di Breganze ha ricevuto la scorsa settimana un regalo particolare, in parte interessato, in parte riconoscente. Non capita tutti i giorni che un'azienda doni a una scuola una sofisticata apparecchiatura. La Faresin Formwork (casseri per l'edilizia, 90 dipendenti in loco, una sessantina in giro per il mondo, vocazione accentuata per l'export) ha deciso di farlo, destinando alle attività di pratica scolastica un robot industriale di ultima generazione. Si tratta di un IGM Robotersysteme a controllo completamente digitale, che consente la saldatura ad arco, con grande velocità e capacità di rotazione del braccio. Un gioiellino, una spesa non irrilevante, anche se il costo viene tenuto segreto, una donazione che spiega il successo industrial-occupazionale che matura da anni nella Pedemontana vicentina, una delle provincie italiane più produttive. «È dal 1984 che la Faresin ha iniziato ad accogliere studenti per brevi periodi di pratica lavorativa e siamo fortemente convinti che questa collaborazione reciproca faccia bene all'azienda, alla scuola e agli allievi».
VIRTUOSISMO
La direttrice Lucia Faresin, figlia di Guido, fondatore della società, non enfatizza la donazione, bensì il virtuosismo che lo studio e la sua applicazione nella pratica produttiva portano al sistema industriale. «Intanto diciamo che gli studenti di questi istituti devono smetterla di pensare che questa sia una scelta secondaria, rispetto al liceo o ad altre scuole, per chi non sa cosa fare. È invece una scuola che introduce direttamente nella produzione. La nostra azienda richiede il 15 per cento di impegno nella manualità e l'85 per cento nella tecnologia. Con i robot non riduciamo l'occupazione, ma aumentiamo la produttività».
Il problema per gli studenti è il dopo. Trovare un'occupazione. L'alternanza scuola lavoro dello Scotton (ma esperienze simili si possono trovare anche in altre realtà del Veneto) è garanzia di trovare un posto. «L'occupabilità è del 100 per cento a sei mesi nei settori della meccanica, dell'elettronica e della moda», conferma il professore Mario Maniotti, il dirigente dell'istituto. «Il fatto è che le famiglie non lo sanno e continuano a fare le scelte dei licei. Oggi le aziende, almeno in questa zona, stanno uscendo dalla crisi. O perlomeno quelle che hanno saputo rinnovarsi e rischiare. Hanno bisogno di personale, ma non lo trovano». Come avviene concretamente l'inserimento? «Da noi, a maggio del quinto anno gli allievi hanno già la possibilità di scegliere, generalmente tra due opzioni di lavoro. E questo è il frutto di un impegno iniziato tre decenni fa, prima delle riforme scolastiche. Molti studenti non sono portati per lo studio teorico. Con la didattica laboratoriale abbiamo in qualche modo rovesciato i metodi di altre scuole, dove viene prima la teoria e poi la pratica. E i risultati sono strabilianti».
IL RITARDO
Non è consueto che un privato regali a un ente pubblico. «Noi un robot così non potremmo permettercelo. La scuola sul punto delle tecnologia, a parte il tema delle risorse disponibili, è sempre in ritardo rispetto all'azienda. Il materiale è subito obsoleto. Nelle imprese, quelle che vogliono uscire dalla crisi grazie alla qualità e all'innovazione, gli investimenti sono invece continui. Ecco che per gli studenti si spalancano possibilità enormi. Ma ciò vale anche per i docenti, se vogliono stare al passo con i tempi». Il professor Maniotti viene da Trento. «Ma qui in Veneto ho trovato gente che non se la tira, che ha la cultura e il gusto del lavoro. E ha il coraggio di rischiare». Una piccola isola felice (e a piena occupazione) nel grande mare della crisi.
Giuseppe Pietrobelli
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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