LA STORIA
GODEGA Anziché varcare la soglia dell'Accademia di Belle Arti,

Venerdì 8 Dicembre 2017
LA STORIA GODEGA Anziché varcare la soglia dell'Accademia di Belle Arti,
LA STORIA
GODEGA Anziché varcare la soglia dell'Accademia di Belle Arti, Giuseppe (Bepi) Da Re, a 18 anni decise di rimboccarsi le maniche e varcare quella del panificio di famiglia, a Bibano di Godega, il paese natale dove vive da 74 anni. Il giovane panettiere, che in futuro avrebbe ideato i mitici Bibanesi, «pannetti che non sono grissini, fatti a mano come stessi lavorando l'argilla o la creta», non dimenticò mai la passione per l'arte. Che ancora oggi si riflette nei suoi prodotti. Una favola lunga 30 anni quella dei Bibanesi e di Da Re, un esempio nel Nordest creativo e unico, capace di espandersi nei mercati di tutto il mondo. Ieri, a Godega, la grande festa per il lancio del libro Una storia buona come il pane, forse di più, a fianco di tanti vip dello spettacolo, della cultura, dell'enogastronomia giunti da tutta Italia (da Alda D'Eusanio a Gambarotta, Vera Slepoj, Rita Pavone, Giorgio Celiberti), con tanto di lectio magistralis di Davide Paolini sulla qualità del pane.
Da Re, dall'Accademia a panettiere: due mondi diversi. Come andò?
«Mi ero diplomato e avevo sostenuto l'esame integrativo per accedere all'Accademia di Belle Arti ma scoprii che in casa c'erano problemi, la strada cambiò direzione e mi misi al lavoro nel panificio di famiglia. Non facile lavorare di notte e dormire di giorno. Non avevo grilli per la testa, neppure il tempo per andarmi ad acquistare una camici».
Tutto decollò in fretta.
«Si sfornava dell'ottimo pane di pregio, l'attività venne conosciuta oltre i confini. Mi fecero visita delegazioni di Russia e Ungheria proponedomi ponti d'oro per andare ad aprire panifici nei loro paesi. Era il 1983 ma avevo già 3 figli piccoli e rifiutai».
Dal pane ai panetti diversi.
«Il panificio andava per la maggiore con 12 collaboratori, il sabato si lavorava il doppio ma ad un certo punto eravamo tutti stanchi. Decisi di cambiare strada. Era il 1987, smontai un fatturato che andava bene per ripartire dal fondo, passando dal pane classico ai pannetti, i croccanti Bibanesi, lavorando quindi di giorno, avere tempo per le famiglie dando garanzie ai miei collaboratori».
Innovazioni ma anche certezze?
«Ho messo a braccetto manualità, tecnologia e innovazione puntando su tre certezze: non licenziare l'uomo, mettere l'uomo nelle condizioni migliori di lavorare, non spersonalizzare la qualità del prodotto. La cosa è stata vincente».
Bibanesi un omaggio al paese?
«Certo, Bibano dove sono nato, vivo ed ho l'azienda primaria, poi nacque anche lo stabilimento di Zoppè di San Vendemiano, un esempio con reparti colorati, pieni di luce e con 27 orchidee. Ho disegnato un supporto a cilindro per i vasi in resina con le orchidee che la collaboratrice Flora si prende cura».
Ma perchè i Bibanesi sono così buoni?
«Perchè sono fatti con amore: si panifica con il lievito madre, con farina di qualità, acqua, un po' di lievito, olio di oliva extravergine, niente chimica e conservanti, l'impasto riposa dalle 24 alle 36 ore poi con amore le collaboratrici stirano e attorciagliano la pasta e ogni giorno escono oltre 4 milioni di Bibanesi».
E poi anche il Kamut.
«Ho deciso di usare il Chorasan (Kamut è il marchio registrato), cereale meraviglioso e costoso, è l'anima della terra».
Insomma un prodotto... da re?
«Chiamiamoli semplicemente Bibanesi, ottimo pane speciale».
E le confezioni artistiche?
«Ho unito l'arte al lavoro, creando, con tanti disegnatori e illustratori, dei personaggi, confezioni a tiratura limitata con determinate cadenze. Un successo».
Non sono mancati i sostegni al mondo dell'arte?
«Ho sostenuto diverse iniziative e mostre come quelle di Goldin e le confezioni create per l'occasione hanno riportato opere di Canaletto, Van Gogh, Renoir ed altri in base alle mostre che organizza, ultima quella di Vicenza».
Ma anche solidarietà?
«Varie iniziative, con la serie i buoni per i bambini dell'Etiopia, la collaborazione con slow food per l'Africa dove abbiamo realizzato 25 orti».
Ed ora un libro per i 30 anni coinvolgendo artisti e disegnatori.
«Ho voluto ripercorrere la storia con aneddoti, racconti, fotografie un libro non solo per gli adulti ma per i ragazzi, allegro e colorato con 200 tavole degli artisti che hanno collaborato con l'azienda come Altan, Nicoletta Costa, Forattini, Giannelli, Mordillo, Beppe Mora, Giorgio Celiberti, Ettore Greco ed altri senza dimenticare Dario Fo con il quale nacque una profonda e vera amicizia, quasi cose d'altri tempi».
Il futuro dell'azienda?
«C'è continuità poiché ci sono i tre figli, Armando, Francesca e Nicola che senza forzature sono entrati in azienda e la sanno condurre con bravura e amore».
E lei ha finalmente il tempo per dedicarsi all'arte.
«Al mattino alle 7.30 o alle 8 sono comunque in azienda, ma io disegno anche quando sono al telefono. Mi diletto con pastelli ed acquarelli e con le mie creazioni con l'argilla e la creta esposte in varie mostre. La grande passione dei miei anni giovanili, non è un lavoro ma una passione, faccio tutto con facilità, senza fatica o imposizioni, quindi è una gioia. Come aver coniugato il senso artistico per produrre un pane nuovo e buono».
Michele Miriade
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