LA STORIA
CORNUDA Nell'anno del centenario della Grande Guerra, cade anche un'altra

Mercoledì 9 Maggio 2018
LA STORIA
CORNUDA Nell'anno del centenario della Grande Guerra, cade anche un'altra ricorrenza, quella della Battaglia di Cornuda, anno 1848, da sempre poco considerata, ma significativa, che proprio oggi compie 170 anni. Sulla strada della rocca di Cornuda, nel centro pedemontano, la celebra un monumento un po' fuori mano, cosiddetto dell'Aquila, a mezza costa di un colle da cui si può vedere la pianura trevigiana soffocata da capannoni, villette e strade. «Ai Caduti nei giorni 8-9 maggio 1848 - vi si legge - Da Roma a Cornuda. Nel nome d'Italia». Fu inaugurato il 29 maggio 1898 alla presenza del Ministro di Grazia e Giustizia Giuseppe Zanardelli. Per troppo tempo, però, la storiografia ha trascurato l'evento, affidandolo spesso a ricordi venetisti a sostegno di un'idea di esistenza e indipendenza di un popolo veneto.
IL SAGGIO
Il contributo fondamentale è dello storico Lucio de Bortoli, autore un paio di anni fa di un saggio sul tema. «È stata la prima battaglia del Risorgimento -spiega lo storico- E anche molto importante, finalmente riconosciuta nel suo valore di recente. Del resto, se gli Austriaci provenienti da Feltre fossero stati fermati, non avrebbero raggiunto il quadrilatero; Radetzky, lì asserragliatosi, avrebbe dovuto ritirarsi e il Risorgimento sarebbe finito nel 48». Così, invece, non fu. Ma anche altre sono le suggestioni. Daniele Manin, che guidava gli insorti di Venezia, sottolineò che quella fu la prima battaglia di Italiani dai tempi dell'impero romano: tra volontari e regolari vi erano infatti romani, siciliani, marchigiani, abruzzesi, romagnoli, emiliani e veneti di ogni estrazione. Fu, però, eroica e sfortunata: gli Austriaci erano in forze assolutamente preponderanti e, quando sembrò che i rinforzi fossero vicini, il comandante ordinò la carica (suicida) a uno squadrone di 40 dragoni pontifici: sopravvissero in cinque, e i rinforzi non arrivarono mai.
I DRAGONI
I resti di quei dragoni riposano nel monumento, all'interno della cripta. «Lo scontro decisivo -racconta De Bortoli nel suo saggio- si svolse l'8 e 9 maggio 1848 nel territorio compreso tra Onigo di Pederobba e Cornuda ed è quasi esclusivamente ricordato per la straordinaria serie di incomprensioni tattiche intercorse tra Giovanni Durando al comando delle forze regolari pontificie e i volontari romani guidati dall'anziano, ma vigoroso, generale Andrea Ferrari. Il peso della responsabilità del disastro viene da sempre attribuito a Durando, che infatti passerà alla storia per il suo leggendario e telegrafico vengo correndo inviato in risposta alla richiesta di aiuto da parte di Ferrari».
LA TATTICA FALLIMENTARE
In verità, la sconfitta fu anche il risultato di un incredibile accumulo di errori e fattori negativi: l'inefficienza strategica che produsse una sbalorditiva dispersione di reparti lungo 50 chilometri sulla riva destra del Piave e nelle vicine piazze militari; la commistione mal gestita tra militari, volontari, corpi franchi e guardie civiche; il pessimo servizio informazioni dei pontifici, l'incertezza prodotta nei reparti dei volontari da una dichiarazione di guerra all'Austria mai emanata da Pio IX. Ma già l'avvocato Giovan Battista De Zen, il 9 maggio 1867, enfatizzò quell'evento, ricordando che «fu la prima volta, e il primo campo, in cui gl'Italiani, convenuti da ogni angolo del loro paese, si sono schierati a fronte del loro nemico in nome e sotto lo stendardo dell'Italia». Imboccando un cammino lungo e tortuoso. Tuttora in atto.
Laura Bon
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