La marchesa che salva i libri tra antichi codici e un Mac

Sabato 20 Dicembre 2014
La marchesa che salva i libri tra antichi codici e un Mac
Ha 84 anni, nobile lignaggio e si divide tra vecchi codici e nuove tecnologie, scorrendo su un Mac Apple come se fosse una nativa digitale. Vittoria De Buzzacarini, marchesa, alla Giudecca ha il suo quartier generale, sede della casa editrice Nova Charta.
Marchesa, le sue origini?
«La mia famiglia è presente a Padova dal 1084 e mio padre Brumoro fu anche collaboratore dell'allora re Vittorio Emanuele III. Ma oggi la mia vita si snoda tra Venezia e Padova. In laguna c'è la redazione, il cervello, mentre a Padova, mia città natale, è rimasta la casa editrice».
La sua casa editrice, Nova Charta, si occupa di carta e antiquariato, com'è nata questa passione?
«Mi definisco “editore per caso” perché da giovane mi sono trasferita da Padova a Milano per occuparmi di stampa nella moda. Era il periodo in cui nasceva il Made in Italy e lì ho conosciuto un editore, Celestino Zanfi di Modena, con cui ho collaborato ad una collana su storie della moda del ‘900. In seguito mi ha proposto di occuparmi di una rivista sull'antiquariato. Quando la collaborazione si è conclusa, per congedarmi, mi ha regalato la testata. Gesto assai raro».
Oltre alla passione per la carta, ne ha altre?
«Si, ho tre collezioni. La prima è di bottoni. Ne ho un'infinità e risalgono ai tempi della moda. La seconda riguarda le “boule de neige”, ha presente quelle palline, terribili, che dentro hanno la neve? Ne avrò un centinaio circa. Mentre l'ultima riguarda le “Valentine”. Anche di quelle ne ho circa 120. Sono quelle cartoline pieghevoli, che aperte diventano tridimensionali. Nacquero alla fine del ‘700, ma erano molto in voga nell''800. I fidanzati, o aspiranti tali, le regalavano, soprattutto nella ricorrenza di San Valentino, alle fanciulle in età da marito. Che, si dice, spiassero da dietro la porta chi le imbucasse sotto l'uscio. In effetti, le Valentine dovevano essere più o meno anonime. È da lì che poi ho sviluppato tutto l'interesse per la carta, passando per i biglietti da visita, i loghi e la carta intestata».
Ama la carta, ma è legata al computer, ne ha uno addirittura diviso su due monitor.
«È vero, il computer è indispensabile oggi, anche se non le nego che mi spaventa. Basti pensare alle email, che rendono velocissima la comunicazione. Però, allo stesso tempo, bisogna portarvi estrema attenzione, si ragioni ad esempio sui floppy disk. Hanno avuto una vita effettiva di 30 anni circa. E ora? Inservibili. E quasi irrecuperabili. Invece un libro resta. Fa parte della cultura di un Paese e di una persona. Ci permette di apprendere e continuare a capire ciò che c'era e ciò che c'è».
Questa passione viene espressa anche dalla sua casa editrice. Come si alimenta?
«Viene continuamente alimentata dalle scoperte. Mi riferisco a quando si effettua una ricerca come quella che mi è capitata nel 2010. Il re Vittorio Emanuele III non ha lasciato manoscritti, quando sono venuta a sapere che ad un'asta sarebbe stato battuto un pezzo ascrivibile a lui ho fatto di tutto per averlo. Anche per renderlo fruibile a studiosi e appassionati. L'abbiamo preso, ne abbiamo creato dei fac-simile e assieme ad un commentario illustrato l'abbiamo edito. Riguarda tutte le date inerenti al rapporto tra il re e sua moglie Elena. Da quando si sono conosciuti al loro 50° anniversario. Fu il regalo che lui fece a lei per le loro Nozze d'Oro. Il libro si conclude con un “Viva l'Italia, ora più che mai”. È toccante sapendo che all'epoca erano già in esilio».
Diceva che la sua famiglia è legata a Vittorio Emanuele III...
«Sì, mio padre fu uno dei firmatari dell'atto di abdicazione del re del 1946. Sapeva che esistevano memoriali, il re gliene aveva parlato. E dopo tanti anni mi è capitata l'occasione di fare ricerca e divulgare proprio un suo manoscritto, che emozione. Ma ciò non fa di me una monarchica».
Torniamo ai libri. Oggi soffrono le case editrici, i giornali, ma anche le biblioteche.
«Purtroppo. Il settore pubblico ha seri problemi e dove può, investe in altri campi. Anche il ministro Franceschini a Roma ha parlato di nobili cause come musei e Pompei, ma di biblioteche nemmeno l'ombra. Per questo dovranno scendere in campo i privati. Associazioni, tipo il Rotary, o mecenati, dovrebbero pensare a salvarle, magari adottandone una nelle loro città, per preservare i libri. Nel sud Italia ho sentito di un caso in cui una biblioteca privata di oltre 30mila tomi chiuderà. E non trovando sostegno dall'amministrazione pubblica si sarà costretti a riporre in scatoloni i libri, che si ammuffiranno e saranno buttati via. Vanno difesi».
Qual è, secondo lei, la bellezza del libro?
«Richiede un impegno. Si deve fare uno sforzo per aprirlo, diversamente da un quadro. Ma i libri sono ugualmente opere d'arte. E il bello è che si deve porre estrema attenzione a cosa c'è scritto al loro interno. Scoprendoli un po' alla volta».
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