L'autopsia rivelò le tracce di un potente veleno: la vittima era stata narcotizzata prima dell'iniezione

Giovedì 28 Luglio 2016
(L.I.) Gian Luca Cappuzzo sta scontando una condanna definitiva a ventisei anni di reclusione. L'11 febbraio 2011 la Corte di Cassazione aveva confermato i verdetti pronunciati dalla Corte d'Assise di Padova e dalla Corte d'Assise d'Appello di Venezia. Sia in primo che in secondo grado i giudici non avevano creduto al pentimento e alla confessione dell'imputato, arrivata a distanza di mesi dall'omicidio della moglie trentunenne Elena Fioroni, avvenuto nella notte tra l'8 e il 9 febbraio 2006 nella villetta di famiglia in via Pisani, a Voltabarozzo. Quello che inizialmente pareva un suicidio si era rivelato in realtà un delitto premeditato. Le risultanze dell'esame autoptico e le felici intuizioni degli investigatori della Squadra mobile, guidati dal dottor Marco Calì, avevano consentito di inchiodare il medico specializzando, all'epoca in forza alla Clinica Chirurgica I diretta dal professor Davide D'Amico, alle sue responsabilità. Capuzzo aveva ucciso la moglie con due iniezioni di etilcarbammato, un veleno potentissimo, che sarebbe scomparso dal cadavere nell'arco di poche ore. L'autopsia, eseguita tempestivamente, l'aveva incastrato. Il chirurgo aveva somministrato di nascosto alla moglie del lozarepam. È un calmante. Poi le aveva fatto perdere i sensi con l'etere. Le aveva iniettato il midazolan, che si usa in sala operatoria come pre-anestesia. Infine, le iniezioni di etilcarbammato.

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