L'allarme della Crusca: invasi dai termini inglesi

Martedì 24 Febbraio 2015
Passi per "spread", "computer", "festival", termini per i quali non ci sono corrispondenti adeguati: ma possibile che a minare ulteriormente l'italiano ci sia anche un fiorentino come il Presidente del Consiglio, con le sue "spending review" e il suoi "jobs act"? Non si poteva dire più semplicemente "revisione della spesa" o "legge sul lavoro", invece che copiare un acronimo obamiano (Jumpstart Our Business Startups Act)? E così anche il governo è sul banco degli imputati al convegno dell'Accademia della Crusca sui forestierismi in corso a Firenze: "complice", probabilmente inconsapevole, delle grandi centrali internazionali di diffusione dell'inglese, quali il mondo dell'economia, delle banche e del marketing, le aziende dell'informatica e delle nuove tecnologie, e naturalmente la moda, dove l'inglese in trent'anni ha spazzato via il francese.
Nel presentare l'appuntamento, voluto anche dal sodalizio Coscienza Svizzera, il presidente della Crusca Claudio Marazzini non è stato tenero: «Non solo dilagano gli anglicismi, anche dove non servono», ma avanzano termini ibridi che sposano malamente le due lingue, come nel caso del portale degli eventi culturali dell'Expo, battezzato "Verybello", ancora una volta dal Governo. Sintomo questo, secondo Marazzini, di «scarso amore per la nostra lingua che rivela la scarsa attenzione ai temi dell'identità nazionale». Non a caso l'italiano è soggetto agli attacchi concentrici non solo delle lingue staniere, ma anche dei dialetti locali, sempre più spesso usati ideologicamente contro l'idioma nazionale.
Eppure qualcosa si sta muovendo: una petizione on line dal titolo #dilloinitaliano ha superato le 50mila adesioni in una settimana, raccogliendo sotto il nome della promotrice - la pubblicitaria Anna Maria Testa - le firme di Michele Serra, Massimo Gramellini e Beppe Severgnini; la richiesta - per «non sprecare il patrimonio di cultura, storia, bellezza, idee e parole della nostra lingua» - è che l'Accademia della Crusca si attivi presso le istituzioni politiche e culturali per sostenere l'utilizzo di termini italiani laddove siano "competitivi" rispetto al corrispondente straniero; e circola in rete anche un elenco di 300 forestierismi da evitare, con relativa traduzione: da "abstract" (riassunto) a "workstation" (posto di lavoro) http://nuovoeutile.it/300-parole-da-dire-in-italiano/
Una proposta sposata (seppure con qualche distinguo per l'eccesso di arcaismi) da Michele Cortelazzo, direttore del Dipartimento di Studi linguistici e letterari dell'Università di Padova, che ha osservato però che «compito dei linguisti non è imporre questo o quel termine, ma semmai individuare delle alternative ai forestierismi da lanciare sul mercato linguistico, prima che i termini stranieri si consolidino nell'uso: adesso sarebbe assurdo cercare di sostituire "selfie" con "autoscatto", vista la diffusione straordinaria che ha avuto l'anglicismo nell'ultimo anno». Il docente padovano però non condivide il catastrofismo di qualche collega sulla tenuta della nostra lingua: «Gli ultimi studi seri disponibili, a partire dalla "Storia linguistica dell'Italia repubblicana" di De Mauro, smentiscono l'invasione dei forestierismi, anche se è vero che si registra negli ultimi tempi una pressione crescente, a cui la comunità linguistica nazionale non sta rispondendo in maniera adeguata».
Negli altri paesi di lingua romanza c'è maggiore reattività? Lo sapremo oggi dalle relazioni dei colleghi di Francia, Spagna e Portogallo. «Ma l'impressione è di sì - dice Cortelazzo - E in ogni caso anche l'egemonia dell'inglese non appare più così assoluta, anche se non si vede chi possa sostituirlo».
Non va inoltre dimenticato che si registra nelle lingue anche il fenomeno opposto. «Più si va all'estero e più si registra l'invasione di italianismi, soprattutto in campo culinario, da "tiramisù" a "macchiato". Non a caso l'italiano all'estero è la quarta lingua più studiata».
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