Io mi ricordo. L'odore del glicine in primavera, tra le strade strette di città.

Lunedì 30 Novembre 2020
Io mi ricordo. L'odore del glicine in primavera, tra le strade strette di città. Avevo cinque anni, abitavamo tutti insieme nella grande casa di via Sant'Agostino. Ricordo quel profumo che mi veniva incontro quando giravo l'angolo della via ed entravo nel vicolo dove c'era il portone d'ingresso. Il profumo del glicine scavalcava il cancello di ferro e dietro si apriva chi mai avrebbe potuto dirlo da fuori un bellissimo giardino nel cuore di Treviso. Sulla ghiaia bianca tiravo i primi calci a un pallone. Ma quando uscivamo dall'asilo delle suore in via Emiliani ci fermavamo in piazza del Grano a giocare a calcio e le porte le facevamo buttando per terra le nostre maglie. La rete era il cielo tra le case di città.
Abitavamo tutti insieme, con gli zii e con i nonni, la casa era bellissima e immensa. Un privilegio, grazie al nonno. Di bambini c'eravamo io e mio fratello, Checco. La terza, mia sorella Alessandra, che adesso non c'è più, è arrivata negli ultimi mesi del nostro stare lì a Sant'Agostino. Già, i nonni. Ho avuto dei nonni da ricordare, ognuno a suo modo. Con quei nomi, poi. Menenio e Anelda. Menenio Bortolozzi a Treviso tutti sanno chi sia stato, medico, giovane insegnante universitario, fondatore dell'anatomia patologica a Treviso, proveniente da Padova. E poi mecenate dello sport e tante, tantissime altre cose.
E mia nonna, la sua sposa come diceva sempre. Anelda Bortolozzi Vettorel. Sono giusto cinquant'anni che se n'è andata, presto per il conto normale della vita. Una sera di fine novembre, di lunedì, come quest'anno cade di lunedì il suo anniversario, mezzo secolo dopo. Impressiona dire mezzo secolo, e tu ci sei rimasto dentro a tutto questo tempo. A ben vedere, quella nonna pittrice è il solo aggancio plausibile per il lavoro che avrei fatto dopo l'università. Ma chissà. I ricordi che ho di mia nonna Anelda che dipinge in quella casa di via Sant'Agostino sono sempre legati alla presenza di mio fratello, che ha due anni meno di me. Lo studio della nonna, ma vorrei dire il suo atelier, era su un'altana tutta di vetro in cima alla grande casa. Da lì guardavo la città, da lì mi sembrava si vedesse il mondo. Mi sforzavo con lo sguardo di capire da quale parte ci fosse il mare. Mia nonna sulla spiaggia di Jesolo, davanti all'hotel Ritz dove passava il mese di luglio, mi chiedeva di trovarle grandi conchiglie lisce che usava per prendere il sole, riparandosi gli occhi. Così cercavo il mare anche dalla sua altana. Nel suo atelier facemmo noi tre una piccola festa per il primo compleanno di Checco, davanti a una torta margherita con una candela da spegnere. A volte posavo per lei, seduto e quasi appollaiato su uno sgabello al centro dello spazio. Guardavo tutta la pittura che colava dal cavalletto e si rapprendeva, come lo sbuffo di un vulcano, braci sempre accese. Un giorno a mio fratello vennero gli orecchioni e una mattina salimmo insieme la ripida scala per arrivare lassù. La mamma gli aveva messo una grande sciarpa di lana per proteggerlo. Lo portai su perché la nonna voleva fargli un ritratto così, un ritratto di Checco malato. Le piaceva fare ritratti dei familiari. Del Menenio, di mia mamma Maria Rosa, di mio zio Giorgio, della zia Renata.
Mia nonna è stata negli anni Sessanta una brava pittrice. Ha esposto in gallerie assai note a Milano, a Roma, a Venezia, nella dolcissima galleria Giraldo a Treviso, dove la signora Laura mi dava le mandorle salate. Facevo la prima elementare, la nonna mi portava con lei tutti i pomeriggi. A dire il vero dei quadri, allora, mi importava un po' poco. Treviso le dedicò nel 1977 una grande antologica a Ca' da Noal. Di lei hanno scritto in tanti e importanti, da Diego Valeri a Virgilio Guidi, da Mario Portalupi a Franco Passoni, da Luigina Bortolatto a Ottorino Stefani. E poi due firme storiche del Gazzettino, persone che ricordo con tanto affetto, Paolo Rizzi che non c'è più e Vittoria Magno. Penso spesso soprattutto ai paesaggi della nonna Anelda, le cose che amo maggiormente. Scorci di Treviso, le guglie del nostro Duomo, e poi l'oro colato, quasi bizantino, delle sue fumiganti Venezie. Bellissime. E ancora il Grappa, le colline del Montello, l'Asolano, le Prealpi. Tutto mi ritorna, cinquant'anni dopo il suo essersene andata presto dal mondo.
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