(...) Primo. L'Italia ha una storia di conflittualitàquasi esasperata tra toghe

Martedì 18 Luglio 2017
(...) Primo. L'Italia ha una storia di conflittualitàquasi esasperata tra toghe e politica. Le ragioni sono molte e risalgono al 1992 quando si è passati da una repubblica partitica a una repubblica giudiziaria.
Intendiamoci: non è stata la magistratura a eliminare una classe dirigente che si era esaurita nell'incapacità e screditata nella corruzione: i processi ne hanno soltanto celebrato i funerali.
Ma da quel momento le toghe hanno colmato - come si dice -oggettivamente, un vuoto di potere, che non hanno più mollato. L'ingresso in campo di Berlusconi, con la sua impallinatura attraverso un avviso di garanzia notificato a mezzo stampa, ha gettato benzina sul fuoco. E da allora, con alti e bassi, le indagini continuano a condizionare parlamento, regioni e comuni, dove nessuno firma più nulla per paura di finire nel registro degli indagati. In questa infernale confusione, che ha frantumato il principio della divisione dei poteri, consentire a un magistrato, che magari ha acquisito notorietà e prestigio attraverso inchieste sui personaggi politici, di sostituirsi a questi ultimi, significa dare il colpo di grazia alle nostre già vacillanti istituzioni.
Secondo. La candidatura di un magistrato a maggior ragione se ha raggiunto la notorietà di cui sopra lo esporrebbe a una sorta di rilettura di tutta la sua precedente condotta professionale. Naturalmente nessuno pensa - e ci mancherebbe altro - che un giudice abbia strumentalizzato, cioè prostituito, la sua funzione, per prepararsi un buen retiro in parlamento o al governo.
Nondimeno la sola eventualità che qualche anima cattiva possa insinuare questo perfido sospetto dovrebbe suggerire di eliminarne il pericolo.
Terzo. Il magistrato che sfrutti - naturalmente con le più nobili intenzioni - tale notorietà per candidarsi, altera il principio della concorrenza leale, o quantomeno della parità delle condizioni di partenza. Decolla avvantaggiato solo per aver fatto, a suo tempo, il proprio dovere. Si dirà che anche un cantante, un calciatore o un artista possono godere di questa situazione di favore. E' vero. Ma nessuno di loro ha mai inquisito o incatenato un concorrente.
Certo, si può replicare che alcuni magistrati possono fare, o aver fatto, politica in modo anche più subdolo, orientando o strumentalizzando maliziosamente le proprie inchieste senza nemmeno esporsi nell'agone elettorale.
Ma a parte il fatto che addurre un inconveniente non significa risolvere il problema, resta la circostanza che l'ufficializzazione della candidatura non farebbe che avvalorare gli eventuali sospetti di una precorsa e sacrilega baratteria di partito.
In ogni caso questo pericolo mortale andrebbe affrontato con riforme ben più incisive di quella timidamente ora prospettata: dalla separazione delle carriere, alla trasparenza dell'azione penale, alla gestione delle intercettazioni, via via fino al funzionamento dello stesso Csm. Ma questo, direbbe De Gaulle, è un vasto programma.
Carlo Nordio
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