LO SCENARIO
ROMA Dopo giorni di trattative diplomatiche, di continui contatti

Giovedì 18 Aprile 2019
LO SCENARIO ROMA Dopo giorni di trattative diplomatiche, di continui contatti
LO SCENARIO
ROMA Dopo giorni di trattative diplomatiche, di continui contatti tra Cancellerie, ieri il premier Giuseppe Conte è riuscito a parlare al telefono con il presidente Usa Donald Trump. Un colloquio molto cercato, vista la freddezza che gli Stati Uniti hanno riservato al nostro paese nell'ultimo periodo. Il Governo parla di una telefonata durante la quale l'America avrebbe riservato «parole di stima e fiducia» nei confronti di Roma sulla gestione del dossier libico. Conte avrebbe spinto molto su Trump affinché pressi sull'Egitto e sull'Arabia Saudita, che appoggiano l'esercito del generale Khalifa Haftar, ma che sono anche molto vicini agli Stati Uniti. E da Washington la risposta sarebbe stata titubante.
IL MESSAGGIO
In realtà, gli Stati Uniti, intervenendo con maggiore impegno sulla gestione della guerra a Tripoli, potrebbero voler lanciare un segnale a tutte le potenze coinvolte, dalla Russia alla stessa Francia che, comunque, sembra aver intuito che Haftar diventa ogni giorno meno difendibile. Soprattutto dopo il lancio di missili Grad avvenuto nella nottata di ieri da parte delle sue truppe, che hanno raggiunto diverse abitazioni nel centro della città e causato la morte di almeno 7 persone tra le quali 5 donne, oltre a 35 feriti. Qualcosa che ha scatenato la reazione della comunità internazionale, del presidente Fayez al Serraj che ha parlato di «crimini contro l'umanità», e dello stesso inviato dell'Onu Ghassan Salamè, che ha scritto su Twitter: «Una orribile notte di bombardamenti casuali su aree residenziali. Per il bene di 3 milioni di civili che vivono nella Grande Tripoli, questi attacchi devono fermarsi. Adesso».
Dichiarazioni dell'inviato dell'Onu a parte, al Palazzo di Vetro resta ancora bloccata la bozza di risoluzione presentata dai britannici che chiede un cessate il fuoco immediato. Un documento al quale è stato riservato un atteggiamento tiepido anche dagli Stati Uniti. E che ieri ha visto la Gran Bretagna di nuovo impegnata a preparare una risoluzione per chiedere una tregua urgente.
Gli Usa, dunque, mostrano di non aver ancora deciso se stare a guardare o intervenire. Nel frattempo, la loro presenza nel Mediterraneo la faranno ugualmente sentire con l'ingresso dello Uss Abraham Lincoln Carrier Strike Group. Una strategia già prevista da tempo, che il Pentagono ha deciso di confermare e che, con la nuova situazione in Libia, sembra assumere anche un altro significato: il Mare nostrum monitorato e un segnale inviato a tutti i giocatori di questa pericolosa partita. Il compito sarà quello di «addestrare, pattugliare e mostrare forza nelle regioni in cui la Marina russa è diventata più attiva». Un messaggio molto chiaro che si può declinare su tre fronti: Libia, Siria e Mar Nero.
MILITARI IN SIRIA
Di fronte a questo scenario, il colloquio tra Conte e Trump potrebbe rappresentare anche un test di fedeltà verso il nostro governo, un po' in fredda con Washington per via degli accordi annunciati con la Cina. La possibilità che in cambio di un aiuto in Libia, l'Italia invii soldati in Siria che dovrebbero sostituire gli oltre 2mila uomini americani lì stanziati. Un'offerta che è stata rilanciata di recente dal senatore Lindsey Graham, presidente della Commissione Giustizia e delegato agli Esteri di Trump, che in questi giorni ha anche incontrato, insieme a un'importante delegazione, il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi.
In attesa che i potenti trovino un accordo, a Tripoli e dintorni si continua a morire. Il numero è salito a circa 200 vittime e 816 feriti, secondo i dati dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms). Diciottomila, invece, gli sfollati. E ieri il ministro degli Esteri del governo di concordia nazionale, Mohamed Taher Siala, ha ricevuto alcuni degli ambasciatori rimasti nella capitale libica, tra i quali il rappresentante italiano Giuseppe Buccino. Mentre nella notte, gli abitanti della Capitale sono scesi in piazza per protestare in modo improvvisato contro il bombardamento indiscriminato sulla città. I manifestanti hanno accusato le forze di Haftar, anche se il portavoce del generale nega che siano stati loro a lanciare i missili.
Cristiana Mangani
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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