Welby e Dj Fabo, così la loro sorte sarebbe cambiata

Venerdì 15 Dicembre 2017 di Valeria Arnaldi e Claudia Guasco
Welby e Dj Fabo, così la loro sorte sarebbe cambiata

Luigi, «che in sei mesi la Sla se l’è mangiato». Giovanni, che si è lasciato morire di inedia. E poi Dj Fabo, Loris Bertocco e Gianni Trez, che per liberarsi del fardello insopportabile che era diventata la loro vita hanno bevuto un bicchierino di veleno in una clinica svizzera. «La nuova legge sul biotestamento è per tutti loro, che hanno combattuto per il diritto a una morte degna», dice emozionata Mina Welby, moglie di Piergiorgio, uno degli uomini simbolo della battaglia.

ZONA DI ILLEGALITA’
La legge è per Gustavo Fraticelli, 60 anni, affetto dalla nascita da tetraparesi spastica. «Ho già fatto il testamento biologico, depositandolo alla commissione affari sociali della precedente legislatura, in un’audizione. Ora lo rifarò, proprio in previsione di una eventuale patologia grave che potrebbe rendermi incapace di intendere e volere», spiega. Il suo timore è mettere la vita nelle mani di altri. «Nei reparti di rianimazione si sentono spesso medici e parenti parlare, in caso di pazienti terminali, dell’opportunità o meno di farli soffrire ancora. E’ una zona grigia di illegalità, si decide dell’esistenza di una persona a prescindere dalla sua volontà». Dunque bisogna fare di più: «Oggi il rifiuto delle cure è previsto solo per persone la cui sopravvivenza dipende dai macchinari, questo discrimina quanti, pur in condizioni che rendono la vita insopportabile e con diagnosi infauste, non hanno bisogno di un respiratore. Continuerò a lottare per l’eutanasia». 

Marco Gentili, 28 anni, affetto da sclerosi amiotrofica laterale, co-presidente associazione Luca Coscioni, è stato uno dei primi nel suo comune, Tarquinia, a redigere le Dat. «L’ho fatto - sottolinea - per tutelare e, allo stesso tempo, far accelerare il Parlamento nelle tutele delle libertà individuali dell’individuo, nonché della mia cittadinanza». E ora che c’è una legge si sente più sicuro? «Sotto certi aspetti sì, sotto altri di meno. Non a caso il mio fiduciario l’ho scelto con premura ed attenzione». La strada, riflette, è ancora lunga. «Abbiamo le nostre proposte per il Comitato nazionale di bioetica: snellire la struttura a dodici membri, rivedere i criteri di nomina, definire meglio i compiti. Con la mia presenza garantisco una visione incondizionata per la propria e l’altrui libertà di scelta e di azione».

LE USTIONI SUL BRACCIO
C’è anche chi ha aperto la sua casa per mostrare a tutti come vive un malato di sclerosi laterale amiotrofica: Giovanni Nuvoli, morto nel 2007, è rimasto per sei anni in un letto «immobile, senza parlare, con il corpo disfatto, privo dei muscoli delle gambe», racconta la moglie Maddalena Soro. Comunicava con gli occhi: «Se li spalancava, voleva dire che aveva dolore. Se nessuno lo guardava, il suo grido d’aiuto restava inascoltato. Per formare una frase, fissava le lettere su un cartello di plexiglass e dove lui puntava lo sguardo io mettevo il dito». Ogni forza residua, dice Maddalena, la dedicava al riconoscimento del diritto di opporsi all’accanimento terapeutico. «Che invece è stato riservato a lui. Dopo l’ultima crisi non voleva essere attaccato a una macchina, i medici lo hanno intubato lo stesso. Ha chiesto l’autorizzazione a un magistrato per staccare la spina, gli hanno detto no. Alla fine, per morire, ha fatto l’unica cosa che gli era permessa: rifiutare il cibo che io gli somministravo da un buco nello stomaco. “Mi dispiace farti soffrire, ma devi lasciarmi andare”, sono state le sue ultime parole». Se ci fosse stata la legge sul biotestamento, si guarda indietro Maddalena, «tutta questo dolore gli sarebbe stato risparmiato».

E’ lo stesso rammarico di Generosa Spaccatore, moglie di Luigi Brunori, consumato da tre anni di Sla e morto il 7 gennaio 2016 per «desistenza terapeutica» in una clinica di Roma. «Mio marito avrebbe voluto spegnere il respiratore e morire serenamente. Però doveva rivolgersi a un giudice e si sa, c’è chi è favorevole e chi no. C’era un vuoto legislativo, un iter lungo e incerto. Adesso cambia tutto, le nostre volontà vengono rispettate». E nessuno, spiega Generosa, sarà più costretto a patire le sofferenze di Luigi: «Si sentiva un condannato, era disperato, gli restavano solo le lacrime. Io non riuscivo a decidermi. Poi un giorno mi accorgo che le borse dell’acqua calda usate per lavarlo l’avevano ustionato, aveva le bolle sul braccio. Il dolore era stato terribile, ma non poteva urlare. Allora ho detto basta».
 

Ultimo aggiornamento: 16 Dicembre, 18:47 © RIPRODUZIONE RISERVATA