Delitto di Torvaianica: «Ha ucciso Maria a coltellate e si è gettato nel rogo con lei»

Domenica 23 Giugno 2019 di Camilla Mozzetti
Delitto di Torvaianica: «Ha ucciso Maria a coltellate e si è gettato nel rogo con lei»

Non c’è nessuno che ha colpito a morte Domenico Raco, uccidendo poi anche Maria Corazza e dando fuoco a entrambi i cadaveri. C’è solo la disperazione di un uomo solo che, con molta probabilità, sentendosi rifiutare dalla donna di cui si era innamorato, ha deciso di punirla e poi di uccidersi. Nei suoi polmoni, i medici dell’équipe guidata dal professor Giovanni Arcudi, hanno trovato tracce considerevoli di monossido di carbonio: Raco, il 39enne, nato a Molochio (un piccolo paesino di neanche 3 mila anime nel cuore dell’Aspromonte), è morto esalando i fumi del rogo che, quasi certamente, lui stesso ha appiccato dopo aver pugnalato a morte la donna che venerdì 14 giugno lo era passato a prendere dal meccanico ignara di quello che le sarebbe capitato di lì a poco. 

Dopo il susseguirsi di indizi e prove sommarie, arrivano ora le prime certezze per chiarire il giallo di Torvaianica. E la storia è una di quelle tra le più crudeli. Un omicidio-suicidio passionale dove la disperazione ha lasciato campo libero alla crudeltà più feroce, animale. Ieri tra le sale dell’istituto di Medicina legale dell’università Tor Vergata è stata svolta l’autopsia sul corpo del “calabrese”, così era chiamato Raco tra gli amici, e gli esami non mentono: l’uomo è morto a causa delle fiamme. Sul suo corpo gli specialisti non hanno trovato alcuna ferita, solo i suoi polmoni collassati per il monossido. Riscontri validi per sostenere il suicidio. Ma c’è dell’altro, a riprova dell’omicidio della donna. 

L’ARMA USATA PER UCCIDERLA
Oltre al video che lo riprenderebbe, a poche ore dal folle gesto, intento ad acquistare una bottiglia di olio e 15 euro di benzina riempiendo una tanica da quasi 10 litri al distributore “Agip” di via Danimarca – elemento che rafforzerebbe l’ipotesi della Procura di Velletri e dei carabinieri del Nucleo investigativo di Frascati sulla premeditazione adottata dall’uomo – nella Ford Fiesta guidata dalla Corazza, 48 anni, i militari dell'Arma hanno rinvenuto un grosso coltello.

Non il solito arnese che è facile scoprire nel cassetto di una qualche cucina, ma un fendente dalla lunga lama che con molta probabilità è stato usato da Raco per uccidere la donna prima di darle fuoco e suicidarsi. La Procura, guidata da Francesco Prete, tende a ricostruire così la dinamica di quella mattina anche perché sul corpo della Corazza, all’altezza dello sterno, è emersa da una prima analisi un’ampia ferita d’arma da taglio. Bisognerà, tuttavia, aspettare lunedì quando anche su di lei sarà condotto l’esame autoptico per poter dire con esattezza se la ferita, forse mortale, le sia stata inferta proprio con quel coltello. Difficile, comunque, poterne dubitare. Forse quest’epilogo – la certezza che Raco l’abbia pugnalata a morte prima di cospargere il suo corpo con la benzina e bruciarla –, potrebbe confortare in parte la famiglia di Maria, che per vivere faceva le pulizie nel deposito dell’Eni a Santa Palomba, che si era esposta con le banche per poter acquistare una nuova casa dove vivere insieme alla figlia e al compagno Maurizio. Relazione tra le più normali, la loro. Con le ombre che – puntuali – scandiscono la quotidianità di ogni rapporto durevole. «Spero soltanto che mia sorella – ha raccontato Angela Corazza – sia morta prima e non per le fiamme». Troppo difficile sopportare anche questo e provare a immaginare quegli attimi, il dolore patito dalla donna prima di esalare il suo ultimo respiro. 


IL MOVENTE
E ciononostante si dovrà trovare la forza di accettare, nell’eventualità, che Raco – l’amico di tutta la famiglia Corazza, quello che da 15 anni viveva le loro case ed era entrato nelle loro vite –, abbia trovato il coraggio e la forza di accoltellarla e poi di bruciarla prima di lasciarsi morire tra le fiamme. Perché lo ha fatto? Perché lei lo rifiutava o aveva smesso di dedicargli le attenzioni nelle quali la sua mente si era rifugiata. Che tra i due ci fosse della simpatia, del tenero, è emerso dai messaggi, dalle frasi sussurrate dagli amici agli inquirenti. Dai dettagli che Raco stesso ha lasciato dietro di sé – nella macabra rivisitazione di una favola di Charles Perrault – come i post su Facebook o le confidenze di istinti suicidi affidate a un amico. La verità oscilla tra questi due estremi: l’affetto mostrato dalla donna è stato mal interpretato e nel momento in cui Raco ha palesato il suo reale interesse, non è riuscito a sopportare il rifiuto. Oppure i due avevano davvero una relazione clandestina destinata però a finire. Quale che sia la verità, ce n’è comunque un’altra innegabile. Ed è quella che si legge ancora sul terreno bruciato di via San Pancrazio, tra l’entroterra di Pomezia e il litorale di Torvaianica.
 

Ultimo aggiornamento: 15:00 © RIPRODUZIONE RISERVATA