Caso Swedbank, riciclaggio record: così cade il falso mito della Svezia

Venerdì 29 Marzo 2019 di Mario Ajello e Andrea Bassi
Caso Swedbank, riciclaggio record: così cade il falso mito della Svezia
 Si considerano un Paese al di sopra di ogni sospetto, dalla reputazione inattaccabile. Si percepiscono come la nazione della trasparenza economica e finanziaria. Eppure il presidente del consiglio di amministrazione di Swedbank, Lars Idermark, che ieri ha licenziato su due piedi l’amministratore delegato della banca Brigitte Bonnesen, ha candidamente ammesso davanti alle incalzanti domande della stampa, che in quindici giorni, non ha trovato nemmeno un minuto di tempo per dare un’occhiata a un documento importante: «Non ho letto quel rapporto», ammette Idermark. Sono le pagine - sconosciute al pubblico da molto tempo, ma rese note dalla stampa quindici giorni fa - che stanno terremotando una delle maggiori banche svedesi e mettendo a nudo la natura oligarchica e il sistema da consorteria che dominano il mondo della finanza di quel Paese. Una terra in cui, a dispetto delle apparenze, e di una presunta correttezza, tutto è nascosto e così deve restare. Proprio come racconta questa storia.

IL DOSSIER SEGRETO
La vicenda è venuta alla luce, non da un’indagine della magistratura locale, ma da un’inchiesta del Dipartimento della giustizia degli Stati Uniti e dalla Sec. Riguarda la più grande operazione di riciclaggio mai registrata in Europa: 135 miliardi di euro. L’accusa è di frode aggravata e di insider trading. Il ceo Bonnesen di Swedbank ieri è stata licenziata in seguito al raid della polizia nella sede centrale dell’istituto. Un sistema venuto alla luce solo per il pressing americano. Le autorità svedesi, come da consuetudine, a dispetto del mito della trasparenza, si erano chiuse a riccio. Luoise Brown, portavoce di Trasparency International, ha sottolineato come «in un Paese piccolo come la Svezia, i legami stretti tra le alte sfere della finanza fanno da muro a qualsiasi critica e tentativo di fare chiarezza». La polvere, insomma, va ben tenuta sotto il tappeto. La controprova è che il direttore generale dell’Autorità di controllo, che avrebbe dovuto indagare sullo scandalo, Erik Thedeen, ha dovuto lasciare il dossier al suo vice a causa dei suoi stretti legami di amicizia con il direttore generale della Swedbank. 

AUTOINDULGENZA
Questa vicenda di massiccio riciclaggio di denaro russo nei paesi baltici è collegata allo scandalo gemello di Danske Bank, accusata a sua volta dello stesso reato, dopo che nelle filiali in Estonia sono venute alla luce operazioni sospette per 230 miliardi di dollari. Swedebank, secondo gli inquirenti, sarebbe un «canale per ripulire capitali di alcuni fra gli uomini più potenti dell’ex Unione Sovietica, tra cui il deposto presidente dell’Ucraina: Viktor Yanukovich. Ma lo scandalo con epicentro Stoccolma sta diventando un intrigo transoceanico.
Secondo il canale della televisione pubblica Svt, rientrano nell’affaire anche i pagamenti che l’ex presidente ucraino ha fatto nei confronti di Paul Manafort, l’ex responsabile della campagna elettorale di Donald Trump. Lo scandalo solleva interrogativi non soltanto sul riciclaggio del sistema bancario svedese, ma in generale sulla reputazione di un Paese che, a dispetto dei fatti, si reputa moralmente superiore pur avvalendosi di metodi omertosi, spesso rimproverati a torto ai paesi mediterranei.

Come ammette del resto Per Bolund, il ministro di centro-sinistra delle Finanze. Il quale osserva: «Swedbank avrebbe dovuto cooperare con le Autorità, invece ha fatto esattamente l’opposto, e questo è del tutto inaccettabile. Ha messo a rischio la reputazione della Svezia». Per settimane il ceo Bonnesen ha negato, mentendo, qualsiasi tipo di analogia e di parentela tra questo scandalo e quello della danese Danske. Le autorità americane si erano messe in moto dopo che dai Panama Papers dello studio Mossad Fonseca, era emerso il coinvolgimento di una serie di banche nordiche. Ma tra queste la Swedbank aveva provato a minimizzare il proprio coinvolgimento, dicendo che si trattava di poche decine di conti e tutti afferenti a cittadini svedesi. Salvo poi dover impattare con la realtà di centinaia di conti movimentati da cittadini russi. Un tentativo di mettersi al riparo nella speranza di non essere investiti dalla bufera. Proprio mentre le Autorità degli altri Paesi coinvolti si attivavano per fare luce sulla vicenda. Ma le Autorità di regolamentazione svedesi, come ha sostenuto ieri anche il Financial Times, «sono troppo indulgenti». 
 
Ultimo aggiornamento: 07:41 © RIPRODUZIONE RISERVATA