​In Svezia il “paradiso” dei furbetti del Reddito

Martedì 16 Aprile 2019 di Mario Ajello e Andrea Bassi
In Svezia il paradiso dei furbetti del Reddito

dai nostri inviati
STOCCOLMA Era il welfare perfetto. Una sintesi virtuosa fra diritti e doveri. Ma la favola sta finendo. E spuntano creature impreviste nel fatato paesaggio svedese. Furbetti all’aringa? In questo Paese il reddito di cittadinanza si chiama Social bidrag (Contributo sociale). E una nazione abituata a fidarsi, ma ormai alle prese con culture più manovriere arrivate con il boom dei migranti, non s’è ancora dotata di controlli adeguati contro tentazioni e imbrogli. La locale Corte dei conti ha elaborato un rapporto secondo cui quasi 200 mila persone che ricevono il sussidio che può arrivare all’equivalente di 1.100 euro, non si sono messe a cercare lavoro. Ma il punto vero è che nessuno li ha sanzionati. Per capire la grandezza di questi numeri, è come se in Italia ci fossero 1,2 milioni di “furbetti” del reddito di cittadinanza. Si riesce a cambiare nome e a risultare nullatenenti, e si conquista - senza troppe difficoltà - il Social bidrag. Il finto divorzio dal marito, sancito da una cartellina intraducibile prodotta in qualche ufficio sub-sahariano o pakistano, fornisce la doppietta: reddito per donna non lavoratrice e reddito per single mother.

Si arriva alla tripletta o alla quadripletta se, in combutta con il consorte che in realtà è ancora in carica, ci si dichiara donna picchiata dal marito. E a quel punto oltre ai due benefit precedenti, ce n’è uno in più, anzi due: nuovo sussidio più casa pagata. Ma il “furbetto” alla svedese è particolarmente abile, come si racconta nel comparto accademico del Karolinska Institute, nei trucchi da test d’ingresso all’università. C’è un mercato per le soluzioni delle prove. Vengono vendute tramite auricolari bluetooth connessi all’orologio I-watch o Samsung. A medicina, la soluzione costa dalle 100 mila alle 150 mila corone (15 mila euro). Con una prova quasi perfetta, si è ammessi a questa facoltà. E poi il posto che ti sei comprato da medico favorisce a cascata (anche con l’istruzione gratuita per i figli che può arrivare a 1.100 euro al mese) tutta la famiglia. Familismo amorale alla svedese?

Il reddito di cittadinanza scatta sia se sei disoccupato sia se per qualche ragione non puoi seguire il programma di reinserimento al lavoro. Qui s’innesca il traffico dei falsi certificati medici, di cui vengono considerati specialisti i dottori arabi. Eccoci in uno dei tanti Vardcentralen, centri di sanità dei quartieri. La zona è quella del quadrante-ghetto di Rissne, Tensa, Alby, Masmo. In cambio del certificato con scritto “stress”, scatta la ricompensa al medico siriano. Racconta una ragazza eritrea, che aspetta il suo turno: «Ci sono casi di pazienti che si fanno fare il certificato, dicendo: dottore, non posso usare la mano. Lo ottengono, se ne vanno all’estero a fare affari (ne conosco uno che è andato in Kenya) e alla fine del mese tornano per prendere il sussidio di disoccupazione e malattia e ripartono». Controlli? «Se vengono scoperti, se la cavano con la ramanzina: guarda che ti togliamo la pensione!». 

Ma chissà perché, visti da quassù, i “furbetti” nuoterebbero solo nel Mar Mediterraneo. È la degenerazione del modello tutto-diritti. Ed è quello rappresentato da scene come questa. Ore 16,10 in un moderno complesso pieno di uffici e di sedi aziendali, a Solna, semi-periferia di Stoccolma: regna il silenzio e non c’è più nessuno. In questo deserto, dall’alto del suo studio il manager di una grande multinazionale dice: «Agli svedesi alle 4 in punto, come dite voi italiani, cade la penna. Tutti a casa, a pensare ai bambini». Lavorare poco, lavorare tutti, alla maniera in uso nei Paesi socialisti? Proprio così, e si lavora soltanto dal lunedì al giovedì. «Sì - spiega il capo cantiere di uno dei tanti palazzoni in costruzione - noi avremmo bisogno di persone che lavorano anche il venerdì e il sabato per accelerare i lavori, ma non se ne trovano».

A Proposito dell’Urss, si diceva anche: mezzo lavoro per mezzo stipendio, e invece no: qui gli stipendi sono interi. Racconta una giovane infermiera, Sarah, che lavora in uno dei maggiori nosocomi della città, il Sos (Soder Sjukhuset): «Appena assunta, prendo quello che per voi sono tremila euro». Peccato, però, che al pronto soccorso di molti ospedali di Stoccolma per farsi visitare si aspettano anche 10 ore e, come narrano tutti, la domanda di medici - che per non essere invasivi e non scontentare la Divina Privacy non prendono mai il toro per le corna - è questa: «Lei che cosa pensa di avere?». Nel frattempo il toro è stramazzato. Insomma, aveva ragione J.R.R. Tolkien, l’autore del “Signore degli anelli”, nel suo adagio che riecheggia Esopo: «Non tutto quello che luccica è oro». Chi viene a lavorare a Stoccolma, come molti dei manager internazionali del palazzone di Solna, è impressionato dal modello di comando in uso quassù, quello per cui ogni decisione del capo rischia di essere un sopruso agli occhi degli altri, e vige una sorta di assemblearismo - nella gestione degli affari aziendali, di quelli pubblici, degli appalti, delle strategie di funzionamento dell’economa e della società - in cui la condivisione è un mantra e qualsiasi dubbio rimette in discussione tutto. In nome di un egualitarismo ipocrita e paralizzante, che si serve dell’iper produzione di carte burocratiche per garantire lunghezza di tempi e confusione sull’obiettivo. «A volte un documento viene visto e rivisto anche 20 volte. Ognuno a tutti i livelli gerarchici, pure quelli non di vertice, aggiunge la sua e ogni sillaba nuova fa ricominciare tutto da capo», racconta il manager di una multinazionale tedesca. Che aggiunge: «Qui anche gli uomini possono arrivare a un anno di paternità. Per sostituirli siamo costretti a ricorrere ai consulenti. E questo vale per tutti, anche per i nostri clienti. Partecipo a riunioni in cui ci sono 50 consulenti il cui unico obiettivo è allungare i tempi del lavoro per allungare le loro parcelle. Perciò si discute anche delle virgole». Questo tipo di racconto lo fanno tutti. In ogni ambito lavorativo. Il sogno di questo Paese è una Svezia ricca dove i singoli non sono ricchi e di un potere diffuso anche a dispetto di pragmatismo e operatività. E si tratta di una filosofia, regressiva, usata per tenere a bada, ma senza troppo successo, il “den kulinga ovundsjukan”: ossia la sindrome dell’invidia sociale che già nel ‘500, al tempo di re Erik XIV Vasa, veniva indicata come la tipica malattia di queste contrade.
 

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