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I manager: Poletti sbaglia, il merito fa la differenza

Pay > Edicola
Mercoledì 29 Marzo 2017 di Valeria Arnaldi

ROMA I titoli di studio sono carta straccia, la laurea serve appena per riempire una cornice e non di quelle “buone” da mettere in salotto. Il talento è un concetto sopravvalutato - e un criterio decisamente sottostimato - la meritocrazia una favola che si racconta chi non ha raccomandazioni. Nel nostro Paese. O almeno così sembra se il curriculum vitae, costruito in anni di studio e pratica, per trovare un impiego vale meno di una partita a calcetto, come due giorni fa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha “spiegato” agli studenti dell’istituto Manfredi Tanari di Bologna. La lezione non è andata giù a molti. Alle immediate reazioni politiche, nonostante i tentativi di chiarimento del ministro è seguita la rivolta sui social. Il dibattito su significato e utilità del curriculum, o meglio sul confronto tra “amicizie” e “merito”, però, è aperto. 

APPROFONDIMENTI
LA REAZIONE

Poletti, protesta della Lega al Senato: «E' un pallone...

LA POLEMICA

Poletti: «La mia frase sul calcetto? Stupidaggine sintetizzare...

L'USCITA

Lavoro, Poletti: «Più opportunità giocando a...

A rispondere è il mondo del lavoro, tra formatori, esperti, imprenditori. «Il cv mette in luce titoli e competenze del candidato ed è su quelle che si basano le selezioni serie - dice Stefano Dominella, presidente Maison Gattinoni - La formazione è fondamentale e lo sono anche le esperienze, magari fatte attraverso stage. A far ottenere un impiego sono studio, cultura, capacità personali e, appunto, se possibile, per quanto oggi sia difficile, un po’ di pratica. Oltre ovviamente al modo di presentarsi. Nei corsi nei quali insegno, agli universitari dell’ultimo anno spieghiamo come comporre il curriculum proprio per mettere in luce i loro meriti. Perfino nella forma, quello che ha detto il ministro è assurdo: come dovrebbe fare un ragazzo a intessere relazioni tali da arrivare al capo del personale di una grande azienda?». 

SELECTOR IN AZIONE
Contrario alla politica della “partitella” pure Alberto Castelvecchi, docente di Comunicazione Efficace all’università Luiss Guido Carli: «Sono un preparatore di colloqui. La formazione è portante ma non è l’unico elemento a garantire l’impiego. Tra cento curricula, un selector ne estrapola cinque e a parità di titoli alti, a fare la differenza sono le attitudini personali. Il capo del personale di una delle cinque maggiori multinazionali farmaceutiche, una volta mi ha detto, che più della laurea con lode, a contare sono la capacità del candidato di non scaricare le frustrazioni in ufficio e di apprendere lavorando, oltre alla fame di imparare. Affermazioni come quella del ministro sono dannosissime per i giovani». Il primo effetto è scoraggiarli, generando possibili problemi al singolo e un’inevitabile - e pesante - ricaduta sociale. «Sono le competenze e la formazione le carte da giocare nel mondo del lavoro - commenta il sociologo Mario Pireddu, docente di Tecnologie di Formazione per Adulti all’ateneo Roma Tre - Le relazioni sono utili solo se dietro ci sono qualità e meriti. Una linea di pensiero come quella del ministro apre scenari pericolosi. Il ragionamento comporta che chi è ricco avrà di più e chi è escluso lo sarà sempre. Le parole di Poletti suonano come un invito al fatalismo e sappiamo che ruolo abbia giocato e giochi questo atteggiamento in varie zone del Paese».

STRUMENTO IRRINUNCIABILE
Secondo Gianluca Baldassarre, direttore generale Vitrociset, «contano studi, ciò che si è fatto, motivazioni, affidabilità. In tale ottica il cv inteso come indicatore è irrinunciabile per il lavoro e perfino per il soggetto. Andrebbe aggiornato ogni sei mesi/un anno per capire se si siano raggiunti gli obiettivi desiderati». Per Carlo Alberto Tenchini, direttore Relazioni Esterne Sharp Italia, «contenuti validi attirano sempre l’attenzione del selezionatore ma è importante mantenersi costantemente informati sulla realtà delle aziende». A rendere inutile un curriculum, a volte, è proprio il suo “contenuto” poco mirato. 

IL FATTORE RETE
Ed è in questo errore, secondo il sociologo Franco Garelli, uno dei fattori che portano a pensare di dover “fare rete”, magari anche attraverso il calcetto: «Siamo di fronte a un’inflazione di domande di impiego, giustamente rivolte dai diretti interessati a tanti. In molti casi, pure per colpa di chi insegna, i curricula testimoniano iter formativi generici, senza specifiche competenze. Lo sbaglio è in quella preparazione poco mirata e distante dalla realtà. Ciò penalizza perfino quanti sono adeguatamente formati, i cui percorsi, testimoniati dai cv, rischiano di rimanere sommersi tra gli altri. No alla rete di contatti, è un concetto molto rischioso».

Ultimo aggiornamento: 30 Marzo, 20:37 © RIPRODUZIONE RISERVATA
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