Pensioni, scattano mini tagli alle contributive: la modifica dal 2021 La tabella

Sabato 13 Giugno 2020 di Luca Cifoni
Pensioni, scattano mini tagli alle contributive: la modifica dal 2021 La tabella
Una limatura della quota contributiva della pensione che oscilla tra lo 0,3 e lo 0,7 per cento. L’aumento della speranza di vita nel biennio 2016-2018 c’è stato, ma decisamente più contenuto rispetto al passato: in Gazzetta ufficiale è apparso da poco il decreto (firmato dal direttore generale delle Politiche previdenziali del ministero del Lavoro e dal Ragioniere generale dello Stato) che rivede a partire dal primo gennaio 2021 i coefficienti di trasformazione degli assegni e quindi i loro importi.

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La variazione demografica, che non era stata sufficiente a far scattare un incremento del requisito di età per la pensione di vecchiaia (rimasto a 67 anni) ha invece prodotto una variazione limitata dei parametri usati per la trasformazione in rendita del montante contributivo accumulato dai pensionandi. Di conseguenza coloro che lasceranno il lavoro a partire dal prossimo anno avranno, a parità di età, una quota contributiva della pensione leggermente inferiore a quella di chi si è ritirato quest’anno: l’impatto è minimo per chi ha il retributivo fino al 2011, più visibile per chi ricade nel “misto” o nel sistema contributivo puro.
LE STIME
La revisione periodica dei coefficienti di trasformazione è prevista dalla legge Dini che nel 1995 ha istituito il sistema contributivo; a partire da questa tornata avrà cadenza biennale. L’idea di fondo è che il “gruzzolo” messo insieme con i versamenti della carriera lavorativa sia “spalmato” sugli anni che presumibilmente restano da vivere all’interessato; dunque se statisticamente la sopravvivenza aumenta, l’importo della pensione annuale si ridurrà in proporzione. Prima della trasformazione in rendita, il montante contributivo viene rivalutato in base all’andamento del Pil nei cinque anni precedenti, operazione che a sua volta porterà nei prossimi anni da un ridimensionamento dell’assegno rispetto alle stime precedenti alla recessione indotta dal coronavirus.
La procedura che ha portato al decreto ministeriale è analoga a quella - ora ugualmente biennale - usata per l’adeguamento dei requisiti di accesso, che come già detto per il 2021 non ha portato variazioni perché l’incremento valeva solo una frazione di mese. In questo caso però il calcolo è un po’ più complicato perché ad esempio tiene conto anche dell’eventuale sopravvivenza del coniuge, che genererebbe un trattamento di reversibilità. I coefficienti variano a seconda dell’età, perché com’è ovvio l’assegno di chi lascia il lavoro a 57 anni (evento non più frequente con le regole attuali) essendo fruito statisticamente per un tempo più lungo è più basso di quello di chi accede alla pensione a età più avanzate.
Ecco quindi che a 57 anni dal prossimo anno si avrà un coefficiente pari a 4,186%, che corrisponde ad un divisore di quasi 24, gli anni teorici in cui l’assegno sarà percepito: la riduzione rispetto ai valori del 2019 è di appena lo 0,33 per cento. A 65 anni si passa ad un coefficiente di 5,22 per cento (poco più di 19 il divisore) con un calo dello 0,48%. A 71 anni il valore del parametro sale a 6,466% (con divisore intorno a 15,5) e la variazione percentuale rispetto al 2019 è pari a -0,72%.
È il caso di ricordare che tutta la procedura è definita in base alle formule contenute negli allegati della legge Dini (poi parzialmente modificata nel 2007), formule che si applicano ai dati demografici forniti dall’Istat. Non sono quindi previsti margini di discrezionalità o di valutazione politica rispetto a questi calcoli, così come accade per quelli relativi alla rivalutazione del montante sulla base del Pil nominale. Un criterio che potrà forse apparire eccessivamente “tecnico” ma che è stato pensato per garantire la sostenibilità di lungo periodo del sistema previdenziale.
Ultimo aggiornamento: 17:40 © RIPRODUZIONE RISERVATA