Intervista al ministro Orlando: «Ora una Procura Ue contro il terrorismo»

Giovedì 24 Agosto 2017
Intervista al ministro Orlando: «Ora una Procura Ue contro il terrorismo»
Ministro Orlando in una lettera inviata alla commissaria europea per la Giustizia, Protezione dei consumatori e Uguaglianza di genere, Vera Jourovà, ha insistito perché si crei una procura europea antiterrorismo. Come funziona oggi la cooperazione in ambito sicurezza e terrorismo?
«A livello europeo, Eurojust è la struttura che si occupa del coordinamento e della collaborazione giudiziaria tra le amministrazioni nazionali nelle attività di contrasto alle forme gravi di criminalità organizzata che interessano più di un paese dell’Ue, incluso il terrorismo. Esistono, poi, fondamentali strumenti in materia di cooperazione giudiziaria previsti dalla legislazione europea, quali il mandato di arresto europeo, le squadre investigative comuni e l’ordine europeo di indagine penale. Gli ultimi due sono stati recepiti nel nostro ordinamento proprio da questo Governo, colmando un ritardo di anni dell’Italia con l’Unione europea. Stiamo anche modificando il codice di procedura penale per offrire alla nostra magistratura strumenti di cooperazione adeguati alle crescenti minacce della criminalità transnazionale. Ma per il terrorismo tutto questo, purtroppo, non basta. E’ necessario che le indagini vengano svolte direttamente a livello europeo, per superare gli ostacoli attuali nella trasmissione delle informazioni tra stati e nel coordinamento delle attività investigative».

Come funzionerebbe una procura europea antiterrorismo?
«Oggi, abbiamo l’esigenza di avere soggetti giudiziari sovranazionali. Gran parte dei pericoli che riguardano gli stati membri, e quindi i cittadini, provengono da fenomeni transnazionali: il traffico di migranti, la criminalità organizzata, il cybercrime e, ovviamente, il terrorismo non sono affrontabili nella sola dimensione nazionale. Il terrorismo in particolare mette in evidenza questi limiti: i jihadisti colpiscono l’Europa come se fosse un unicum, ma l’Europa, attualmente, è in grado di rispondere solo con la legislazione degli stati nazionali».

Nella lettera al commissario europeo sulla giustizia lei parla di avviare una discussione per ampliare l’attuale procura europea. Al momento c’è già una procura europea?
«Entro la fine dell’anno dovrebbe essere adottato il regolamento che istituisce la nuova Procura europea, che si occuperà, però, solo di tutelare gli interessi finanziari dell’Unione. In particolare delle frodi ai danni dell’Ue. I trattati di Lisbona prevedono che la Procura europea possa occuparsi anche di terrorismo e criminalità organizzata transnazionale».

Ci sono paesi che fanno resistenza?
«Questi processi decisionali, a livello europeo, sono sempre complessi. Anche per realizzare la nuova Procura europea, con le competenze limitate che abbiamo detto, ci sono voluti grandi sforzi di mediazione e partirà comunque, al momento, solo con l’adesione di 20 stati su 27. Io però mi auguro che un’emergenza come quella del terrorismo sia in grado di farci superare i particolarismi e gli interessi nazionali che hanno frenato finora l’integrazione. Occorre fare un salto di qualità per tutelare la sicurezza e la vita dei cittadini».

Qual è il punto? La gelosia sulle informazioni sensibili?
«E’ un tema di portata più ampia. Il diritto penale è l’unico ambito in cui lo Stato è rimasto pienamente protagonista, la cessione di competenze su questo terreno segnerebbe un passo determinante verso l’integrazione europea. Secondo me c’è un retropensiero di tutti coloro che vedono l’integrazione come un percorso da frenare».

La cronaca ci ha dimostrato che ci sono problemi anche nella cooperazione tra investigatori. La procura antiterrorismo potrebbe aiutare anche in questa direzione?
«Assolutamente sì, noi abbiamo un modello importante che fa leva sulla procura nazionale antimafia che da due anni è diventata anche procura antiterrorismo che lavora soprattutto sul coordinamento delle indagini e credo che questo modello andrebbe replicato su scala europea. LA nostra storia, dal terrorismo ideologico degli anni settanta alla lotta alla mafia, ci ha detto che senza coordinamento investigativo, senza scambio di informazioni tra le diverse magistrature inquirenti, si aprono delle falle nelle quali il terrorista si riesce ad insinuare».

Come funzionerebbe la procura europea antiterrorismo?
«Si tratterebbe di lavorare sulla struttura già in corso di istituzione, per allargarne le competenze ai reati terroristici. I tristi eventi di questi giorni in Spagna ci obbligano ad andare in questa direzione. L’attuale modello è importante e utile perché ha un discreto grado di indipendenza, prende decisioni in modo collegiale e ha un vertice che è nominato di comune accordo dal Parlamento europeo e dal Consiglio».

Ma le leggi sono anche diverse tra di loro, nei diversi paesi, come si fa a metterle insieme?
«Molte risposte verranno dalla nuova direttiva europea antiterrorismo, adottata a marzo scorso, che offre un quadro normativo armonizzato in questo ambito. L’Italia ha svolto un ruolo cruciale perché diventi uno strumento normativo comune, moderno ed efficace nel contrasto al fenomeno terroristico transnazionale».

Quando potrebbe essere discusso questo progetto, concretamente?
«Porrò questa questione nel vertice dei ministri della giustizia. Credo che i fatti diano un forte impulso in questa direzione».
 
Ultimo aggiornamento: 25 Agosto, 00:01 © RIPRODUZIONE RISERVATA