Aveva chiuso gli occhi pensando che non li avrebbe mai più riaperti, senza nemmeno poter dire «addio, vi voglio bene», alla mamma, al papà, alle due sorelle e al fratellino più piccolo. «Mi hanno sparato», aveva fatto in tempo a sussurrare alla sua fidanzata Martina, poi si era accasciato al suolo, inghiottito da un incubo. Manuel Bortuzzo, invece, quei suoi occhi chiari e limpidi li ha spalancati di nuovo. In un letto d’ospedale e ha subito capito che quella per lui era una nuova possibilità, «la mia seconda vita».
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Anche senza più poter muovere le gambe. Non amava i social, eppure papà Franco gli ha portato il suo telefonino, ha aperto la pagina Tutticonmanuel, e presto migliaia di messaggi di solidarietà hanno cominciato a riempire il vuoto e la solitudine che rischiava di farlo cadere in un baratro, lui che a vent’anni sognava di diventare campione del nuoto. «Mi hanno tolto tutto, ma non la speranza», ha sempre ripetuto da allora.
Così Manuel si guarda avanti, «mai voltarsi indietro» e si impegna duramente: tre giorni di palestra a settimane e tre di nuoto, su e giù per le vasche della Fondazione Santa Lucia dove registra progressi ora dopo ora e si allena con il pensiero alle Paraolimpiadi. Sta scrivendo un libro e girando un film che racconta la sua storia insieme con Raoul Bova che con lui condivide la passione per la piscina. L’attore era stato tesserato con il suo stesso team, l’Aurelia Nuoto, e ora fanno selfie sorridenti sulla terrazza della nuova casa romana di Manuel, a Mostacciano. Ci vive con il papà, mentre il resto della famiglia è a Treviso. Hanno faticato un po’ a trovare un appartamento senza alcuna barriera architettonica: «Con l’ascensore arriviamo fin nel garage», spiega Franco. Adesso per Manuel poco conta che chi gli ha sparato in piazza Eschilo, all’Axa, scambiandolo per qualcun altro, si faccia dieci o vent’anni di galera.
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