«Uno o due mesi fuori». La linea soft del M5S contro i cinque ribelli

Martedì 13 Novembre 2018 di Simone Canettieri
«Uno o due mesi fuori». La linea soft del M5S contro i cinque ribelli

ROMA Un pugno no e nemmeno una carezza, però. I cinque dissidenti del M5S che mercoledì scorso sono usciti dall’Aula al momento di votare la fiducia sul dl-Sicurezza non saranno espulsi. Si valuta per loro - Elena Fattori, Paola Nugnes, Gregorio De Falco e Andrea Mantero e Virginia La Mura - un cartellino giallo da tenere bene a mente: la sospensione dal gruppo pentastellato per un mese o al massimo due. Una soluzione mediana tra il richiamo verbale e la cacciata definitiva. Regolamento sottoscritto alla mano, infatti, le opzioni contemplate in caso di «voto difforme» sono queste tre. E l’indirizzo dei probiviri sembra intenzionato alla breve punizione, seppur con perdono. Sicché, linea-soft. La decisione arriverà alla fine della settimana. Ma l’orientamento è questo. Motivato con spiegazioni tecniche: innanzitutto non c’è stato un «no» alla fiducia e dunque la pattuglia anti-salviniana ha mantenuto un dissenso sì politico, ma non plastico nel pallottoliere. Altrimenti l’espulsione sarebbe stata inevitabile 

LA DIFESA
Per il solito simpatico gioco d i nervi dentro alla maggioranza gialloverde, appena incassato il sì di Palazzo Madama è stato proprio il ministro dell’Interno e vicepremier Matteo Salvini a difendere le «pecorelle smarrite», come le chiamavano nei giorni scorsi dalle parti della Lega. Con queste parole al miele: «Dai, io non li caccerei. Anzi, io non li avrei nemmeno segnalati ai probiviri». Come dire: sono ragazzi, possono sbagliare. 
A dirla tutta c’è un problema di tenuta al Senato, dove la maggioranza è fragile, solo sei senatori, e il soccorso di Fratelli d’Italia incombe dietro l’angolo. Dunque, meglio non esagerare con il pugno duro. Almeno per ora. «Certo - raccontava l’altro giorno Di Maio, sfogandosi con la stampa estera - ho visto un comportamento un po’ ipocrita nell’uscire dall’aula perché o voti contro o a favore. Questi giochetti qua...». 

IL PARADOSSO
C’è poi un calcolo surreale e divertente in questa vicenda che sta per dipanarsi, salvo colpi di scena. «Quasi quasi facciamo loro un favore», scherzavano ieri pomeriggio i parlamentari M5S. Perché? Con la sospensione dal gruppo «i magnifici cinque» teoricamente non saranno tenuti a versare per il mese (o forse due) i 300 euro che, sempre da contratto, devono alla piattaforma Rousseau e non saranno nemmeno obbligati a decurtarsi lo stipendio, come prevedono le francescane regole grilline. «E dunque tutta vita: si beccheranno la paga piena, buon per loro», sdrammatizzavano i colleghi di Palazzo Madama. Come a dire che quasi quasi una sospensione ogni tanto non guasterebbe, in fin dei conti. Non è escluso che i “reprobi” proprio per rendere il clima più disteso facciano il beau geste e aprano comunque il loro conto corrente alla causa del M5S e della Casaleggio associati. Un segnale va comunque mandato, è stato fin da subito il ragionamento dei vertici. «Io qualche sanzione comunque la darei: l’espulsione mi pare eccessiva. Però questa è una valutazione soggettiva», ha ragionato, per esempio, Stefano Buffagni, il sottosegretario vicino a Di Maio. E allora si procederà così. E la vita continuerà a scorrere normalmente o quasi. 
Nugnes, paladina dei diritti dei migranti in chiave anti–Salvini e pro-Fico, ieri ha partecipato a un vertice sulla manovra alla Camera con il ministro Riccardo Fraccaro e i due capigruppo, come se appunto niente fosse accaduto. Senatrice, come va? «Di corsa, si lavora». Il comandante Gregorio De Falco, petto in fuori da uomo di disciplina, aveva messo le mani avanti: «Non mi farò cacciare, abbiamo tanto da fare. In fin dei conti poi cosa abbiamo fatto di male?». Anche l’altra ortodossa Elena Fattori, voce critica su molti fronti come quello dei vaccini, non sembra intimorita. Come lei anche Mantero e La Mura. Il collegio dei probiviri, dopo aver subito avviato l’istruttoria, è pronto a emettere la sentenza. E non sarà appunto di assoluzione, come quella di Virginia Raggi, ma di mezza condanna. Lieve. Anche se il precedente è «grave», come lo ha subito definito il capogruppo Stefano Patuanelli, costretto a governare una truppa in un contesto complicato come quello del Senato. È molto probabile che i cinque ribelli alla fine non si rivolgano nemmeno al collegio dei garanti (il secondo grado di giudizio interno) perché nel frattempo avranno scontato la pena. Che, questa sì, non avrà bisogno di prescrizione.
A Palermo, invece, per avere solidarizzato con i giornalisti («Essenziali per la democrazia») è stato silurato, dunque sostituito, il capogruppo in Comune Ugo Forello. Ma questa è un’altra storia.
Ultimo aggiornamento: 20:24 © RIPRODUZIONE RISERVATA