Duello Conte-Di Maio sui nomi. Ma in ballo ora c’è la leadership

Giovedì 5 Settembre 2019 di Marco Conti
Duello Conte-Di Maio sui nomi. Ma in ballo ora c’è la leadership

Nessuno dirà mai se nella scelta di Giuseppe Conte di assegnare a Luigi Di Maio la delega a ministro degli Esteri non ci sia anche la voglia di far “assaggiare” al nuovo responsabile della Farnesina cosa significa volare per ore sui poco confortevoli aerei di Stato, obbligati a soste carburante, privi di connessione internet e sedili irreclinabili. Anche se, i tempi della retorica anticasta - grillina e non solo - e dell’”airforce-Renzi”, sono ormai lontani se è vero che uno degli ultimi problemi che ha dovuto affrontare il leader grillino - presto costretto ad ore senza consultare social - è stato quello di dove piazzare buona parte del suo immenso staff distribuito tra palazzo Chigi e due ministeri.

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L’ECO
Un nodo che alla fine si è risolto e che ha contribuito alla nomina di Riccardo Fraccaro sottosegretario alla presidenza del Consiglio malgrado Conte avesse in mente di nominare Roberto Chieppa. Tra presidente del Consiglio e neo-ministro degli Esteri uno scontro durissimo che, sommato alle tensioni dei giorni scorsi, rischia di rappresentare un po’ la cifra dei rapporti futuri interni al governo. La richiesta di Di Maio avanzata ieri mattina con forza - legata forse un po’ troppo al peso che Giancarlo Giorgetti ha dato a quel ruolo in 14 mesi di governo - ha infatti rischiato di rimettere in discussione tutto l’impianto dell’esecutivo. Anche perché Conte ha provato a sostenere la tesi dei due sottosegretari (Fraccaro e Chieppa), ma il leader grillino non ha sentito ragioni e ha rilanciato chiedendo per Fraccaro il ministero degli Interni mettendo in discussione, per ritorsione, anche la sua poltrona. Alla fine a cedere è stato Conte che non aveva nessuna intenzione di rinviare l’appuntamento con il Quirinale dove erano giunti echi di una possibile impasse.

Al netto della mancata scelta del sottosegretario, il bilancio del presidente del Consiglio è ampiamente positivo e non solo per essere riuscito a rimanere al suo posto quando tutto intorno franava. Dalla personalissima sfida con Matteo Salvini, che ha fatto di tutto per scongiurare la nascita dell’esecutivo arrivando anche a proporre a Di Maio la poltrona di palazzo Chigi, Conte esce vincente. Essere riuscito a liberarsi dal cappio dei vicepremier, è un vantaggio anche se carica il premier di una responsabilità maggiore. Così come essere riuscito a stilare - con gli emissari del segretario del Pd Nicola Zingaretti e con quelli di Luigi Di Maio - un programma unico e non un contratto.
 


Sulla squadra di governo, Conte alla fine si è dovuto acconciare alle indicazioni dei partiti, riuscendo a spuntarla sul profilo tecnico del ministro dell’Interno ma non sul nome del ministro all’Innovazione. La soddisfazione per la caratura dell’esecutivo è però forte visto che anche il M5S ha indicato per il governo esponenti ragionevoli e privi del furore grillino che per 14 mesi si è contrapposto al sovranismo leghista.

Malgrado Conte abbia di recente sostenuto di non essere del M5S, Di Maio avverte il pericolo che corre la sua leadership per l’investimento che il M5S fa sull’ormai avvocato del popolo e per l’incarico che lo costringerà a stare spesso fuori Italia. Sinora quest’ultimo ha provato a non alimentare la narrazione che invece il Pd alimenta, visto che Dario Franceschini - capo delegazione dem al governo - considera il premier come il suo diretto interlocutore. D’altra parte in questi complicati giorni di trattativa non ci sono stati contatti diretti tra Di Maio e Zingaretti. Il segretario dem si è sempre interfacciato con lo stesso Conte che, in occasione del voto sulla piattaforma Rousseau non ha esitato a metterci la faccia a differenza del leader grillino, molto cauto al punto da mostrarsi pronto - in caso di esito negativo - a cavalcare anche la possibile nuova fase.

IL BIPOLARISMO
Nella complicata stagione che vive il M5S, Conte si tiene alla larga, ma il passaggio della legge elettorale che dovrà accompagnare il taglio dei parlamentari rischia di riportare il dibattito sul suo nome. Alla prospettiva di una legge proporzionale, adattata al numero dei parlamentari, si è affiancata negli ultimi giorni l’idea che il Paese non debba azzerare del tutto quote di maggioritario. La discussione è aperta anche nel Pd e ieri Romano Prodi sul Corriere ha ripreso il tema rilanciando il doppio turno alla francese.

Nel programma stilato dai quattro capigruppo si fa un cenno al problema senza fornire indicazione, ma salvare il principio del bipolarismo significa assecondare l’idea - cara a Zingaretti - di un’alleanza organica tra M5S e Pd da contrapporre ad un centrodestra magari non più a trazione salviniana.
Uno schema che però rischia di premiare ancora una volta Conte come possibile leader della coalizione.

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