Il cardinale Parolin: «Giallo delle ossa, faremo luce, ma è prematuro pensare alla Orlandi»

Mercoledì 7 Novembre 2018 di Franca Giansoldati
Il cardinale Pietro Parolin

«Da parte nostra c’è la massima disponibilità e la massima collaborazione con l’Italia a risolvere questo caso». Finora il Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, da quando sono stati ritrovati i resti umani sotto il pavimento della Nunziatura, aveva rispettato un disciplinato silenzio.


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Ieri sera, al termine di una lunga relazione sulla politica estera di Papa Francesco, il cardinale ha accettato di rispondere ad alcune domande su Manuela Orlandi, un po’ per fare chiarezza, un po’ per sgombrare il campo da equivoci. Poco prima, nella sede dell’associazione Carità Politica, Parolin aveva ripetuto agli ambasciatori che «valori e diplomazia devono camminare assieme, quasi fossero interdipendenti».

Perché quando sono state rinvenute le ossa di uno scheletro nella sede della vostra ambasciata, a Via Po, durante dei normali lavori di ristrutturazione, sono state messe subito in relazione al caso Orlandi?
«Ho seguito questa vicenda sin dall’inizio ma sulla connessione tra il ritrovamento e la Orlandi non è che ci sia tanto da dire: francamente non so chi abbia potuto mettere in relazione quei poveri resti con la vicenda della piccola Manuela. Non saprei. E’ stata una sorpresa anche per me. Tutti stiamo aspettando che finiscano le operazioni scientifiche in corso per avere risposte». 

Per quale ragione, al momento del ritrovamento delle ossa, avete deciso di affidare le ricerche alle autorità italiane, autorizzandole ad entrare in zona extraterritoriale per effettuare tutti i rilievi e le analisi conseguenti?
«Ovvio: per ragioni di trasparenza. Abbiamo deciso che era la strada migliore per evitare che un domani potessero nascere eventuali recriminazioni, alimentando il ritornello che la Santa Sede ha tenuto nascosto qualcosa. Abbiamo scelto la strada della massima apertura possibile e della trasparenza. Questo ci ha convinto che potevamo affidarci agli esperti di parte italiana, la magistratura, la scientifica e tutti coloro che sono impegnati su questo caso». 

Come sono andate le cose?
«In modo sequenziale. Sono stati ritrovati dei resti umani, abbiamo voluto sapere di chi fossero e abbiamo chiesto l’aiuto dell’Italia, ma da parte nostra non c’è stato alcun collegamento alla Orlandi. Aspettiamo la fine di questi accertamenti che richiedono il loro tempo». 

Il Vaticano ha sempre fatto tutto quello che poteva per aiutare a ritrovare Emanuela, cittadina vaticana, scomparsa nel giugno del 1983?
«Non posso dire tanto perché sono arrivato quando il caso era già stato trattato e archiviato da parte italiana. Posso ribadire fermamente che da parte nostra c’è la disponibilità ad aiutare a risolvere questo capitolo doloroso. E’ una vicenda che mi addolora. Ho spesso pensato alla mamma, la signora Orlandi e a tutta la famiglia. Capisco cosa possa significare non sapere che fine ha fatto una figlia. Immagino il tormento per non sapere se Emanuela era viva o morta, senza sapere dove è stata sepolta. Tutto questo provoca grande amarezza».

Certo che ritrovare delle ossa umane in nunziatura non è una gran bella notizia… 
«Direi di no. Ecco perché prima di fare qualsiasi valutazione, o apprezzamento, dobbiamo sapere. Occorre conoscere la provenienza di quelle ossa, la datazione. Se si tratta di ossa che hanno 200 anni è un conto, altrimenti è un altro paio di maniche. Io aspetterei prima di fare qualsiasi riflessione». 

Cambiando argomento, in questi giorni è stata liberata Asia Bibi, perseguitata a motivo di fede in Pakistan. I famigliari vorrebbero che l’Italia li accogliesse. La Santa Sede se ne sta occupando?
«Da parte della Santa Sede c’è sempre stato interesse per salvare la vita ad Asia Bibi.
Penso che sia una cosa buona. La questione non è semplice. Da un punto di vista giuridico è una questione interna al Pakistan ma speriamo che tutto possa risolversi nel migliore dei modi». 

Ultimo aggiornamento: 8 Novembre, 11:36 © RIPRODUZIONE RISERVATA