Il caso nomine, se Raggi condannata: «Voto sul web per andare avanti»

Venerdì 26 Ottobre 2018 di Simone Canettieri
Davide Casaleggio e Luigi Di Maio

«Mettiamo che il 10 novembre vada male, con Virginia condannata. Innanzitutto, prima dovrà dire cosa vuole fare: se se la sente o meno di andare avanti. Spetta a lei. Poi, visto che noi siamo l’unico partito che si basa sulla democrazia diretta, potremmo rimettere la decisione a un voto dei nostri iscritti su Rousseau. In questo caso sarebbero gli attivisti del M5S a decidere se Virginia, condannata per falso, perché di questo stiamo parlando, debba continuare a governare o meno la Capitale d’Italia». 

A parlare è un influente parlamentare del M5S che conosce bene i meccanismi interni e gli umori dei vertici sull’asse Roma-Milano, Palazzo Chigi-Casaleggio associati sulla faccenda. 

La terza via che traccia è inedita: potrebbe rappresentare un exit strategy per il Campidoglio, ma soprattutto per il governo, sponda Luigi Di Maio, nella veste di leader politico del M5S. Su questa eventualità si sta ragionando con forza negli ultimi giorni, soprattutto da quando il pressing della Lega su Roma si è fatto pressante. Da Matteo Salvini in giù, tutti nel Carroccio, accarezzano il sogno di eleggere il primo sindaco (o sindaca) leghista di Roma. Un fatto di portata nazionale che metterebbe in crisi anche il governo, dove gli equilibri sono sempre molto fragili. 

Ma prima bisogna partire da un assunto: il codice etico del M5S, ritoccato all’insù verso il garantismo proprio dopo l’inchiesta su Marra, dice testuale che «è considerata grave ed incompatibile con il mantenimento di una carica elettiva quale portavoce del MoVimento 5 Stelle la condanna, anche solo in primo grado, per qualsiasi reato commesso con dolo».

LA CLAUSOLA 
C’è poi, però, una postilla che apre la strada dell’autosospensione che «può essere valutata quale comportamento suscettibile di attenuare la responsabilità disciplinare». In questo caso spetterebbe a Beppe Grillo (in qualità di garante), a Luigi Di Maio (capo politico) e al collegio dei probiviri prendere una decisione. Ma l’autosospensione della Raggi e dei consiglieri comunali dal M5S, per continuare ad andare avanti, è facile a dirsi, ma molto complicata «da reggere». 

Sia dal punto di vista mediatico, sia dal punto di vista concreto dei 24 consiglieri che reggono la giunta pentastellata. L’altro giorno, alla buvette del Campidoglio c’era chi commentava: «Ma siete sicuri che Marcello De Vito, presidente del consiglio comunale nonché mancato candidato sindaco per un dossieraggio interno, lascerebbe il M5S per solidarietà a Virginia?». 

In generale, sono diversi i consiglieri comunali a spiegare che l’autosospensione possa essere una soluzione molto hard, difficile da portare avanti per la sindaca e poi soprattutto, a cascata, per loro. L’unica sicurezza è che le dimissioni di Raggi potrebbero rappresentare un problema di gestione non da poco per Di Maio. E il leader dei pentastellati non può permetterselo, perché accenderebbe un altro terreno di scontro e competizione con la Lega (con un voto alle comunali in concomitanza con le europee). 

Dunque «avanti con Virginia»: ieri l’altro dopo la vicenda di Desirée con un lungo post su Facebook il vicepremier ha «blindato» anche politicamente la sindaca, annunciando nuovi poteri, già nel dl sicurezza, e un decreto ad hoc per Roma. Come uscirne? Di sicuro il pensiero c’è nei vertici del M5S.

L’ANSIA DEI VERTICI 
Ieri mattina, nell’aula 9 palazzina A del tribunale, non è passata inosservata la presenza di Andrea Ciannavei.

L’avvocato del M5S ed estensore del codice etico ha seguito tutto l’interrogatorio di Raggi. Ed è entrato in una stanza con il collegio difensivo della sindaca appena è terminata l’udienza, con la notizia della convocazione di Carla Raineri il 9 novembre. «Sono serenissimo - ha detto poi prima di andarsene - andrà tutto bene: non esistono piani B». Esiste però la consapevolezza che mandare tutto all’aria per un reato - il falso - commesso senza recare danni all’amministrazione, visto che l’abuso d’ufficio è decaduto, sarebbe un peccato. «Una firma su un foglio dell’Anticorruzione», disse a suo tempo anche Beppe Grillo. Ecco perché l’ipotesi di rimettere al volere della base su Rousseau la permanenza del sindaco della Capitale avrebbe più di un senso. Sarebbe l’apoteosi della democrazia partecipata. Con un finale, forse, anche scontato.

Ultimo aggiornamento: 09:14 © RIPRODUZIONE RISERVATA