Popolare di Bari, Gualtieri: «Banca da salvare per il Sud, tasse sul lavoro giù da luglio»

Domenica 15 Dicembre 2019 di Andrea Bassi, Luca Cifoni, Osvaldo De Paolini e Rosario Dimito
Roberto Gualtieri

Rompendo una tradizione consolidata di interviste a singoli giornalisti, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, ha accolto la proposta del Messaggero di un confronto nei saloni del ministero con la redazione economica. Al forum hanno partecipato: Andrea Bassi, Luca Cifoni, Osvaldo De Paolini e Rosario Dimito. 


Ministro Roberto Gualtieri, tornano le polemiche sui salvataggi bancari. È preoccupato dalle posizioni dissonanti nella maggioranza?
«Spero che le polemiche cessino, anche perché appaiono ingiustificate».

Ingiustificate?
«È doveroso che il governo intervenga per garantire la piena tutela dei risparmiatori, che non corrono alcun rischio, e del tessuto imprenditoriale sostenuto dalla Banca Popolare di Bari. Peraltro il piano che ho illustrato venerdì al Consiglio dei Ministri presenta caratteri molto innovativi e positivi». 

Cosa pensate di fare?
«Innanzitutto, a sostegno della solidità dell’istituto barese vi sarà l’intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, che in passato la Commissione europea aveva discutibilmente impedito per vicende analoghe e che invece, come ha riconosciuto la Corte di giustizia dell’Ue, non può essere considerato come un aiuto di Stato perché le sue risorse sono interamente apportate dal sistema bancario privato. In secondo luogo, il potenziamento delle capacità patrimoniali del Mediocredito Centrale, che il governo vuole rendere una vera banca pubblica di investimento, consentirà di concorrere al rilancio della Banca Popolare di Bari nel quadro di un più ampio disegno che punta a sostenere lo sviluppo del sistema del credito del Sud, che richiede la presenza di intermediari finanziari focalizzati sul territorio, a sostegno delle famiglie e capaci di favorire la crescita delle imprese meridionali. È un progetto che è aperto anche all’apporto di altri intermediari e investitori che ne volessero fare parte».

Domani ci sarà il voto di fiducia sulla manovra che è stata caratterizzata da un aspro dibattito sulle tasse. Ora che siete arrivati quasi all’approvazione del testo, guardando indietro che cosa avreste fatto di diverso?
«La manovra esce dal Parlamento non solo confermata, ma anche rafforzata nell’impianto che il governo le aveva dato: una manovra per i lavoratori e le famiglie, che guarda all’equità, allo sviluppo e all’ambiente. Abbiamo evitato l’aumento dell’Iva di 23 miliardi, abbiamo stanziato 3 miliardi per il taglio delle tasse sugli stipendi, aumentato gli investimenti pubblici orientandoli all’innovazione e alla sostenibilità ambientale, abbiamo dato impulso agli investimenti delle imprese».

Il dibattito si è concentrato soprattutto sulle coperture di questi interventi.
«Abbiamo ottenuto una flessibilità significativa dall’Unione europea e utilizzato i risparmi su alcune misure come Quota 100. Altre risorse sono arrivate dalle nuove norme che abbiamo introdotto per il contrasto all’evasione fiscale».

E dalle tasse su plastica, bibite gassate, auto aziendali?
«Abbiamo lavorato insieme al Parlamento, e in un dialogo con le forze sociali e produttive, per migliorarle alleggerendo il loro impatto sulle imprese e rafforzando la loro natura di incentivi all’ambiente e alla salute».
Il Parlamento in realtà è corso ai ripari. L’impatto delle tasse sulla plastica e sulle auto è stato decimato.
«Come è noto avevo delle forti riserve sulla prima versione della norma sulle auto aziendali. Ora è una misura che rimodula l’incentivo solo per i nuovi contratti, aumentando il beneficio per i veicoli meno inquinanti senza prevedere gettito aggiuntivo per lo Stato».

Anche sulla plastica si è discusso molto, per i produttori anche 45 centesimi al chilo sono troppi.
«È giusto intervenire per ridurre l’uso della plastica monouso che danneggia l’ambiente e i mari. Nella norma c’è l’esenzione totale per la plastica riciclata in modo da incentivare l’economia circolare. Il confronto con i produttori e le altre forze sociali proseguirà. L’intenzione è arrivare a un grande piano nazionale per la plastica sostenibile». 
Questa manovra era partita da un’altra idea, quella di rimodulare l’Iva. Il prossimo anno dovrete affrontare lo stesso problema: trovare risorse per disinnescare altri 18 miliardi. Ora avete 12 mesi per ragionarci. Cosa farete?
«Finalmente potremo lavorare sulle misure con la necessaria pianificazione. Se penso alle condizioni in cui siamo partiti! Quando sono arrivato al ministero ho trovato una legge di Bilancio già impostata con 6 miliardi di tagli e 9 di incremento di tasse. In poche settimane ne abbiamo scritta una completamente diversa nei numeri, nella filosofia e nella sostanza. Non era scontato».

Le clausole Iva però sono ancora lì. Ce le porteremo dietro per sempre?
«Puntiamo a eliminarle completamente. E sono fiducioso dell’impatto della manovra sull’economia e delle risorse che potremo recuperare con misure sull’evasione molto incisive e che saranno rafforzate dal varo del piano per i pagamenti digitali. L’evasione fiscale è una delle grandi sacche di inefficienza dei nostri conti, è anche una questione morale. Lo ha ricordato con parole importanti il presidente Mattarella».

Cosa ci sarà nella Fase 2 del governo che dovrebbe iniziare dopo la manovra?
«Abbiamo grandi ambizioni riformatrici. Stiamo già impostando il lavoro che partirà da gennaio. Uno dei primi cantieri sarà quello della riforma fiscale. Vogliamo rendere il sistema più equo e ridurre la pressione fiscale a partire dai redditi medi e bassi, salvaguardando al tempo stesso il principio della progressività delle imposte. Tutto il contrario della logica della flat tax che toglie ai poveri per dare ai ricchi».

Per ora sul tavolo ci sono 3 miliardi, che diventeranno 6 nel 2021. Come verranno usati?
«Un primo passo sarà la riduzione della pressione fiscale sul lavoro. Darà benefici ad una fascia di lavoratori che andrà oltre la platea che ha già beneficiato degli 80 euro».

Quando partirà il taglio?
«L’idea è di partire a luglio. La platea dei beneficiari sarà definita dopo un dialogo con le parti sociali».

Il beneficio degli 80 euro potrebbe essere esteso fino a 35 mila euro di reddito?
«Ci sono varie ipotesi. Io sono favorevole ad estendere il beneficio ai lavoratori della fascia immediatamente successiva alla platea degli 80 euro».

Cosa altro ci sarà a gennaio?
«Il secondo grande cantiere riguarderà gli investimenti, per mobilitare le ingenti risorse disponibili e quelle aggiuntive che abbiamo stanziato con la manovra. Uno dei principali problemi dell’Italia è la scarsa capacità di spesa delle risorse disponibili».

Ci hanno provato in tanti, con scarsi risultati.
«Le risorse saranno messe a terra non in modo generico, ma in modo mirato su grandi progetti».

Che tipo di progetti?
«Progetti di sviluppo. Penso a quello che stiamo facendo su Taranto. Il governo sta elaborando un piano molto ambizioso di rilancio dell’ex Ilva che vuole fare di Taranto uno dei poli più avanzati del mondo per la produzione di acciaio di alta qualità con processi sostenibili e riduzione dell’impatto ambientale, nel quadro del Green New Deal europeo. E vogliamo fare un grande lavoro che colleghi il piano sulla plastica allo smaltimento dei rifiuti e alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Dovremmo smettere di pagare gli altri Paesi perché si prendano rifiuti con i quali producono energia per loro a spese dei cittadini italiani». 

Lei è favorevole agli inceneritori?
«Esistono strumenti innovativi senza emissioni. Ci sta lavorando per esempio l’Eni. Il punto è che noi non vogliamo soltanto spendere subito i soldi messi nel Green New Deal, ma vogliamo farlo dentro una visione di sviluppo e di innovazione del Paese». 

Nel 2020 vedremo dunque finalmente un piano di politica industriale?
«Sicuro. Per troppo tempo si è pensato che lo Stato dovesse limitarsi a fissare delle regole e che il mercato fosse sufficiente ad assicurare automaticamente lo sviluppo del Paese. Non si tratta di mettere pubblico e privato in conflitto tra loro, ma di contribuire a orientare gli investimenti per irrobustire la struttura dell’economia italiana lungo sentieri virtuosi di innovazione e sostenibilità».

Lei parla di una nuova politica industriale. Intanto gli industriali protestano per le norme anti evasione della manovra. Sembra quasi che dentro il governo si alimenti un sentimento anti-industriale...
«Il governo sostiene la vocazione manifatturiera del Paese. Noi vogliamo aiutare l’industria italiana a crescere e a essere competitiva. La manovra ha rifinanziato tutte le misure di sostegno alle imprese».

E le confische?
«Il Parlamento ha trovato a mio giudizio un buon punto di equilibrio. La confisca per sproporzione riguarda soltanto i reati fraudolenti nei casi più gravi». 

Nella manovra il governo ha stanziato 200 milioni aggiuntivi per il contratto degli statali. Per i sindacati le risorse sono ancora insufficienti. Il governo è pronto a impegnarsi a trovare con il prossimo Def quanto ancora manca?
«Le risorse complessive per il rinnovo sono di 3,4 miliardi. È uno stanziamento significativo. Noi vogliamo tornare a essere un Paese dove i contratti si fanno quando sono in scadenza e dove si fanno i concorsi».

Ma c’è l’impegno a trovare nuove risorse?
«Verificheremo nei prossimi mesi la possibilità di ulteriori risorse».

Dopo il voto di fiducia al Senato, alla Camera il testo sarà blindato. Siete tranquilli che tutto andrà liscio?
«Posso solo notare una cosa».

Quale?
«Come ha dimostrato il voto sul Mes la maggioranza è solida e larga. Chi aveva scommesso su fragilità della maggioranza è rimasto deluso. Il governo esce da questa prova più forte di prima. C’è poi un vento nuovo nel paese: proprio ora, mentre parliamo, a Piazza San Giovanni decine di migliaia di giovani cittadini dicono basta all’odio e chiedono una politica sobria, seria, capace di includere e guardare al futuro. Noi vogliamo ascoltarli e dar loro risposte».

L’ultimo Eurogruppo è durato 10 ore. Raccontano che, a proposito del Mes, in un paio di occasioni lei abbia minacciato di far saltare il tavolo.
«Ho solo legittimamente esercitato le prerogative di un grande Paese che negozia pensando all’interesse comune europeo ma anche sostenendo le proprie posizioni. E ho espresso con determinazione l’indisponibilità dell’Italia a sostenere una road map sull’Unione bancaria che contenesse una modifica del trattamento prudenziale dei titoli di Stato». 

È rimasto colpito dal risultato di Boris Johnson in Gran Bretagna?
«Il successo dei conservatori era prevedibile.

La Brexit è un evento che mi rattrista molto ma per lo meno è positivo che avvenga in modo ordinato. Johnson si è impegnato a perseguire la ratifica dell’accordo negoziato con l’Unione europea, che garantirà una soft Brexit. Ora dovremo lavorare sul futuro accordo commerciale col Regno Unito, costruendo una partnership ambiziosa e al tempo stesso tutelando gli interessi economici europei».

Ultimo aggiornamento: 14:33 © RIPRODUZIONE RISERVATA