La scorciatoia 25 aprile compromesso “pratico” per andare al governo

Giovedì 26 Aprile 2018 di Mario Ajello
La scorciatoia 25 aprile compromesso “pratico” per andare al governo

Dal compromesso storico, che era anche pratico, al compromesso pratico, che s’annuncia molto meno storico di quello berlingueriano e non è detto che si farà. 

Il 25 aprile arriva al momento giusto, nelle ore della possibile intesa tra M5S e Pd. Stavolta, al di là delle apparenze, non si tratta del solito 25 aprile. Con le consuete cerimonie, le polemiche sempre uguali, i riti, l’agiografia, l’oleografia e quanti gonfaloni, quanti cortei, quanta Anpi popolata da studenti fuoricorso e «ora e sempre Resistenza!». In questo caso, c’è un governo da fare, e il nuovo 25 aprile è sintetizzato nell’immagine, all’Altare della Patria, di Roberto Fico e di Paolo Gentiloni - tra i dem il meno aventiniano, tanto per rimanere in ambito storico novecentesco - che sembrano incarnare vicendevolmente la voglia di unità, il desiderio di replicare, in minuscolissimo e in chiave tattica e non ideologica o ideale, quello spirito unitario da salviamo la patria che innescò (e di cui fu frutto) il 25 aprile del ‘45. E che adesso, meno solennemente, viene tradotto dai protagonisti in una sorta di: salviamo le nostre rispettive parti politiche. 

Dunque, in questo nuovo contesto tatticamente unitario, Luigi Di Maio - il cui movimento ha sempre fatto dell’estraneità pop all’antifascismo il marchio della propria modernità e valga per tutti il proverbiale motto del Dibba: «Fascismo, antifascismo, ancora a parlare di quella roba lì?» - è di colpo diventato un nuovo partigiano. Pur di piacere a quella parte del Pd di derivazione comunista. La più disponibile - Togliatti docet e il Migliore dialogò perfino con il qualunquista Giannini sempre visto dai dem come un pessimo antesignano di Grillo e di Giggino - al dialogo con i pentastellati: perché andare al governo si deve, secondo quella tradizione, a costo di qualsiasi torsione e di qualsiasi revisione. Come dimostrano ora le uscite aperturiste di Piero Fassino - all’insegna dello scurdammoce ‘o passato e «con i 5Stelle dobbiamo fare un governo, non una retrospettiva» - o le rievocazioni del compromesso storico con i grillini sull’esempio di «quello che fece Enrico Berlinguer», avanzate da una figura di assoluto rispetto e di grande esperienza qual è l’ex ministro e cugino del grande segretario del Pci, Luigi Berlinguer. 

L’AGNOSTICO
Insomma, Giggino l’agnostico sulla festa della Liberazione s’e convertito alla retorica resistenziale e «buon 25 aprile a tutti. Quella giornata è un faro per ogni nostra scelta politica. Persone diverse si unirono, per costruire il futuro della democrazia italiana». Scomodare la storia per la cronaca, si sa, non è bellissimo. Ma spesso si deve. E l’idea del compromesso - questo fu il 25 aprile tra comunisti e liberali, tra socialisti e cattolici, tra monarchici e repubblicani - in nome del bene del Paese rientra nel buonsenso, anche quando odora di tattica. 

SVOLTE
Ma certe svolte repentine fanno ugualmente effetto e odorano, anche da lontano, di politica politicante. O, come nel caso di Salvini, di pura propaganda, visto che il capo del Carroccio se n’è uscito così: «Il 25 aprile ci ha insegnato a lottare contro gli stranieri. Prima erano i nazisti, ora sono gli immigrati». Ma guai, visto che Salvini crede nell’accordo con i 5Stelle, a dire loro che sono nazisti come fa Berlusconi «e sarebbe meglio che non dicesse questa sciocchezza». 

Povero 25 aprile, trattato così. Mentre tutti s’infischiano di lui, a cominciare proprio dai pentastellati, ossia quelli che hanno mandato deserto l’appuntamento con Mario Di Maio - guarda un po’ il destino: lo stesso cognome! - il 92enne ex partigiano che al municipio grillino XI è stato invitato a parlare della Resistenza e nessuno è arrivato ad ascoltarlo. E però, ieri sui social è stato un diluvio di esponenti M5S che per carezzare la sensibilità Pd hanno twittato, secondo l’ordine di scuderia, la notizia della propria partecipazione agli eventi del 25 aprile solitamente snobbati. E da festa morta, quella della Liberazione è diventata «festa viva». Da antifascismo come muffa e come uffa, l’antifascismo è assurto a festa dell’unità. 

Ed è un altro 25 aprile, agli occhi dei grillini, anche se nel 25 aprile originario fu il vento del Nord (o il «Vanto del Nord», come fu soprannominato Ferruccio Parri, gran comandante partigiano e poi statista, che forse per questo non conosceva l’umiltà) a soffiare sull’intera Italia. Mentre in questo caso l’eventuale unione M5S-Pd si presenta come il vento del Centro-Sud, considerando il radicamento territoriale di queste due forze e infatti sia Salvini sia Giorgetti non fanno che ripetere: «Se quelli fanno il governo è uno schiaffo al Settentrione». 

La sinistra, in 72 anni di Repubblica, ha sempre usato il 25 aprile. Adesso lo fanno i grillini. E già questa - al netto del fatto che il compromesso storico anzi il compromesso pratico riesca o no - è una sintonia che i due partiti cercano di sfruttare. Trasformando un rito autoconsolatorio, o un anticaglia, in un laboratorio. Ma la storia di solito non perdona. 

 

Ultimo aggiornamento: 07:52 © RIPRODUZIONE RISERVATA