Veneto peggio dell'Italia: Pil giù anche oltre il 10%

Mercoledì 1 Luglio 2020
LO STUDIO
VENEZIA Il Pil del Veneto potrebbe cadere più della media italiana. La Banca d'Italia di Venezia prevede a fine anno un calo di vendite regionali all'estero di circa il 10%, oltre sei miliardi. E nel primo semestre è attesa una perdita media del fatturato delle imprese del 25% con punte oltre il 50%. Cresce anche l'area del disagio sociale complicato dal taglio causa crisi delle entrate dei Comuni regionali: meno 205 milioni. Ma c'è un fattore positivo: famiglie e imprese venete affrontano questa crisi con una situazione finanziaria migliore di quella del 2008 grazie a una grande liquidità con depositi che a fine 2019 ammontavano a quasi 130 miliardi (98,9 in conto corrente), cresciuti ancora del 5,4% a marzo. Il tutto con una sanità veneta che ha retto meglio al Covid-19 rispetto a quella del resto del Nord, questo grazie alla pronta gestione dell'emergenza e ai test di massa, ma anche alla maggiore presenza del pubblico con più letti di terapia intensiva e un'estesa assistenza domiciliare per gli anziani.
CRISI DIVERSA
«Il Pil regionale ha registrato una perdita di oltre l'1% nel primo trimestre dell'anno quando gli effetti della crisi da Covid non si erano ancora dispiegati del tutto (gennaio e febbraio erano in crescita) - spiega Vanni Mengotto, responsabile ufficio studi della Banca d'Italia veneziana nella presentazione online del rapporto 2020 -. Con queste premesse il Pil regionale a fine anno potrebbe cadere più della media italiana che il nostro ufficio studi nazionale aveva fissato a un - 9,2%». Ben peggio del 2008-2009. Pesano il crollo di due componenti importantissime dell'economia veneta: turismo ed esportazioni. «Sono due comparti che in Veneto pesano molto di più che in altre regioni - dice Mengotto - per esempio il turismo contribuisce all'8,2% del Pil veneto contro una media italiana del 6%». Il 20% delle imprese regionali secondo Bankitalia sono a rischio liquidità anche se a maggio è decollato finalmente il fondo nazionale per un totale di 4 miliardi di garanzie statali. E ora si spera sulla resilienza tipica da Pmi. «Nel turismo come in altri comparti la riapertura delle frontiere potrebbe dare slancio alla ripresa», ricorda il direttore della sede di Venezia Emanuele Alagna.
«Questa è una crisi diversa rispetto a quelle del passato - spiega l'economista della Banca d'Italia Paolo Chiades - è uno shock sia di offerta che di domanda. In termini di valore aggiunto, la sospensione delle attività è stata superiore alla media nazionale a causa anche della specializzazione regionale nell'industria, attenuata solo in parte dal ricorso allo smart working. La produzione delle imprese industriali è calata del 7,6% nel primo trimestre malgrado il 54% delle aziende abbia continuato a lavorare. Per il primo semestre è atteso un calo medio del fatturato del 25%. Alle imprese dei servizi privati (trasporti, commercio, alberghi, ristorazione, cultura) andrà peggio: solo per le imprese turistiche si ipotizza che nell'anno dimezzino il fatturato. E anche nell'export possiamo aver perso quote di mercato che non riusciremo a recuperare. C'è da sperare in un ritorno delle attività decentrate».
«Il 63% del valore aggiunto regionale è stato bloccato tra i mesi di marzo e maggio - ricorda la presidente di Assindustria Venetocentro e vice nazionale Maria Cristina Piovesana -. Finora, nelle misure economiche, in deficit e debito, si è puntato alla tutela delle diverse categorie rimaste senza reddito e agli ammortizzatori sociali. Provvedimenti necessari che sono e devono restare limitati nel tempo, perché non ce lo possiamo permettere e perché comunque non sono risolutive. Dovrà invece essere affrontato il tema della perdita di produttività del nostro Paese. E questo si deve fare cambiando la struttura salariale. Bisogna coinvolgere di più i lavoratori. Serve un nuovo patto sociale che preveda una profonda revisione dell'attuale contrattazione. E aumentare con la digitalizzazione efficienza e produttività della Pa».
Ma la crisi sta già colpendo duro. La perdita di posti di lavoro per ora è stata arginata con lo stop ai licenziamenti fino al 17 agosto e il massiccio ricorso alla cig. «Da febbraio a fine maggio i posti a tempo determinato persi sono circa 58mila, da giugno questo calo si è fermato ma resta la cassa integrazione che si è impennata in maniera tale da coinvolgere l'equivalente di 133mila posti di lavoro a tempo pieno in un anno, l'8% del totale veneto», sottolinea Mengotto, «e questo si tradurrà in un aumento dell'area di fragilità che potrebbe coinvolgere un quinto delle famiglie attive monoreddito del Veneto senza pensionati».
Maurizio Crema
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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