Tria: «Non ci sarà manovra bis ma il risanamento continuerà»

Sabato 14 Luglio 2018
IL CONFRONTO
BRUXELLES Nessuna manovra di finanza pubblica quest'anno. Per il 2019 è tutto aperto, ma «non è in discussione il fatto che proseguirà l'aggiustamento strutturale dei conti pubblici, anche se dovremo rivedere i tempi e la misura in relazione al rallentamento dell'economia, il governo prosegue l'impegno di riduzione del rapporto debito-pil». Dunque: tutto confermato, ma nello stesso tempo tutto incerto. Il ministro dell'economia Giovanni Tria si è presentato alla sua seconda riunione dei ministri finanziari (prima l'Eurogruppo poi l'Ecofin) praticamente con le stesse indicazioni di venti giorni fa a Lussemburgo, quando aveva rassicurato i colleghi e la Commissione sulla posizione dell'Italia nell'Eurozona.
Nel frattempo la Ue ha certificato che la crescita europea rallenterà più del previsto e questo un impatto anche minimo sui conti pubblici italiani l'avrà. Forse è una situazione che potrebbe un argomento in più all'Italia nel negoziato per ottenere nuovi spazi nei conti pubblici per finanziare misure che potrebbero (ma non si sa quanto né quando né con quali costi) rafforzare l'economia.
Tria ha tempo fino a settembre per far quadrare obiettivi di politica economica e di bilancio, risorse e regole europee. Bruxelles non mette fretta: conferma la linea della flessibilità e di non avere alcuna intenzione punitiva verso l'Italia. Tuttavia c'è preoccupazione per un quadro molto confuso. Il ministro ha incontrato prima il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis (classificato tra i falchi) poi il responsabile degli affari economici Pierre Moscovici (classificato tra le colombe). L'impressione è che non abbiano cavato molto. I dubbi restano. Non a caso il primo indica che «è necessario ulteriore lavoro sia per il 2018 che per la preparazione del bilancio 2019». Come dire, non ci siamo. E Moscovici ricorda che il bilancio in termini strutturali non è influenzato per definizione dall'andamento dell'economia: quindi in linea di principio l'esigenza di un aggiustamento strutturale non scompare con un rallentamento del pil.
PORTA STRETTA
Il ministro dell'economia ribadisce: «Per quest'anno non cambiamo obiettivi, vedremo in termini di consuntivo se abbiamo rispettato o no l'impegno preso» sulla correzione strutturale prevista di 0,3% (5,2 miliardi). «Riteniamo che quanto fatto sia sufficiente a raggiungere gli obiettivi, è probabile che si colmi lo scarto dello 0,3% di deficit-pil, non sono in grado di dire se a consuntivo sarà lo 0,2% o lo 0,3%. In ogni caso non è in discussione il profilo di calo del debito, non ci sarà una inversione di tendenza per quanto riguarda l'aggiustamento strutturale. La misura e i tempi sono le sole cose in discussione». Nello stesso tempo Tria ha sottoscritto le raccomandazioni Ecofin all'Italia, alla quale nel 2018 «è richiesto uno sforzo di bilancio strutturale di almeno lo 0,3% del pil» (5,2 miliardi) e nel 2019, «un aggiustamento strutturale dello 0,6% del pil (10,4 miliardi)». C'è il rischio di non rispettare la regola di riduzione del debito in entrambi gli anni. Cose note da un paio di mesi, ma ora è l'Ecofin che lo certifica.
A Bruxelles il governo cerca flessibilità per gli investimenti. Tria ha indicato che l'Italia chiede lo scorporo delle spese per i confini esterni della Ue dai calcoli del deficit («sono spese per tutta la Ue»). Poi, la sua spiegazione del caso Savona: «Non ha fatto dichiarazioni improprie sull'euro, ha solo parlato di quale sarebbe la governance ideale dell'Eurozona che è questione ben diversa». Quanto al cigno nero (scenari avversi che costringessero l'Italia a uscire dall'euro) Tria ha detto: «Non considero il cigno nero altrimenti non potrei uscire di casa, potrebbe cadermi una tegola in testa e potrei morire, invece esco sempre di casa tranquillamente, sono un avventuroso». Infine, massima cautela sul finanziamento del reddito di cittadinanza: «Occorre usare gli strumenti che ci sono per rispondere a certi bisogni, non aggiungerne di nuovi. La discontinuità tra i governi è nella differenza dell'uso degli strumenti, non nel passare da un deficit all'1% a un deficit al 5%, quella è solo irresponsabilità, con un deficit/pil al 5% il paese va in default».
Antonio Pollio Salimbeni
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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