«Pronti 600 milioni di investimenti»

Venerdì 6 Dicembre 2019
«Pronti 600 milioni di investimenti»
L'INTERVISTA
Il gruppo Marcegaglia riporta sotto controllo italiano un'acciaieria storica friulana, la Palini & Bertoli, e chiude l'anno in linea con il 2018 a circa 5,3 miliardi di fatturato con margini in leggera discesa. In cantiere investimenti per 600 milioni nei prossimi cinque anni e porte aperte a nuove acquisizioni. «La siderurgia sta vivendo un momento di difficoltà - osserva Antonio Marcegaglia, presidente e amministratore delegato del gruppo siderurgico mantovano che vede la sorella Emma vice presidente e Ad - noi anche in questo frangente di consolidamento e ridefinizione del perimetro del settore vogliamo rafforzare la nostra posizione sia con investimenti interni per rendere il gruppo sempre più efficiente, che con acquisizioni selezionate per evitare duplicazioni. Il settore è maturo ma ci sono in Italia ancora eccellenze che possiamo valorizzare sviluppando sinergie col nostro gruppo come nel caso di San Giorgio di Nogaro».
Con la Palini & Bertoli, specializzata nella produzione di lamiere da treno, avete creato un nuovo polo industriale da 200 addetti in grado di trasformare 1 milione di tonnellate d'acciaio all'anno per un controvalore superiore al mezzo miliardo. Prossimi obiettivi?
«Tre anni fa quando il gruppo russo Evraz aveva sospeso la produzione e deciso la vendita dell'acciaieria friulana, negoziammo anche allora ma poi l'operazione non è andata in porto. Oggi si è ripresentata l'opportunità e l'abbiamo colta. Siamo orgogliosi di aver riportato in mani italiane con un investimento di una quarantina di milioni un'azienda storica e convinti che utilizzando le sinergie commerciali, operative, di mercati con il gruppo la potremo far crescere. Abbiamo già uno stabilimento molto vicino, a un chilometro. Ci siamo già presentati a maestranze e sindacati, siamo pronti ad avviare subito il processo di integrazione».
In programma assunzioni e investimenti a San Giorgio di Nogaro?
«Il piano prevede 15 milioni di investimento nei prossimi tre anni. Il nostro obiettivo ora è rilanciarla perché la proprietà precedente russa aveva avuto un approccio cauto. Questa azienda non aveva risultati positivi. Oggi puntiamo a mantenere gli attuali livelli di occupazione (108 addetti), in futuro siamo pronti a farli crescere».
Il prezzo dell'operazione?
«Il valore dell'impresa prima di considerare cassa e debito è stato valutato intorno ai 40 milioni, il prezzo finale verrà elaborato nei prossimi due mesi e potrebbe essere qualcosa di meno di quella cifra ma non è molto distante».
La congiuntura non è delle migliori, voi come andate?
«Avremo risultati in linea con quelli dell'anno scorso in termini di fatturato e volumi di vendita, cioè intorno ai 5,3 miliardi di giro d'affari considerato anche le attività non strettamente collegate alla trasformazione dell'acciaio, che da sole valgono 5,1 miliardi. I margini, dopo i 411 milioni di ebitda del 2018, saranno quest'anno in leggera discesa e poco meno dell'8% sul fatturato».
Altre acquisizioni in vista?
«Rimaniamo attenti alle opportunità dl mercato e concentrati sugli investimenti interni: a giugno inaugureremo un nuovo laminatoio a freddo a Ravenna, poi abbiamo importanti progetti di cogenerazione, di logistica e di sviluppo riferiti a Industria 4.0. In totale da qui al 2024 abbiamo in programma investimenti per 600 milioni».
La svolta green europea come la declinerete?
«L'Europa si è data obiettivi di riduzione di co2 sfidanti, questo comporterà investimenti in tutta la filiera dell'acciaio anche se più per chi lo produce che per chi lo trasforma come noi. L'acciaio sarà gravato da costi aggiuntivi che dovranno riflettere questa nuova sfida ambientale».
In passato avete partecipato alla cordata per acquisire l'ex Ilva insieme a Mittal. Oggi il gruppo è in crisi, potreste tornare in pista?
«Nessuna intenzione. Con Mittal avevamo un ruolo significativo anche se minoritario, l'Antitrust ci ha chiesto di non intervenire e continuiamo a essere il cliente più importante per loro e loro sono tra i fornitori più importanti per noi. Per noi e tutta la filiera di trasformazione è fondamentale che l'ex Ilva continui a operare. Che debba produrre 4, 6 o 8 milioni di tonnellate non sta a noi deciderlo, bisogna trovare un equilibrio che possa far coniugare le esigenze dell'azienda e quelle del sistema Paese».
Maurizio Crema
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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