Mozzarella di bufala, ad est vola l'export dell'oro bianco

Domenica 14 Luglio 2019
AGROALIMENTARE
Francesi e inglesi ne sono così golosi da aver spinto il maggiore produttore italiano ad aprire a Parigi e Londra i primi Mozzarella Bar. Presto anche in Germania. Il boom dell'export del formaggio fresco di bufala campana non si arresta: vale il 32% della produzione, con un + 5,2% nel 2018 secondo i dati Istat e addirittura + 10,2% nel primo trimestre 2019. In un Mezzogiorno d'Italia spesso depresso, il fenomeno mozzarella-oro bianco è diventato così un caso di studio. «Qualità e tradizione non sono solo un tema identitario, ma strumenti per creare reddito e occupazione», afferma Domenico Raimondo, presidente del Consorzio della mozzarella di bufala campana dop (la sede è all'interno della settecentesca Reggia di Caserta con cui Borbone intesero competere con Versailles).
Una ricerca dello Svimez sull'area di produzione dimostra che la mozzarella di bufala certificata «è un prodotto che ha effettuato un significativo upgrading sfuggendo alla competizione puramente di prezzo che penalizza invece le produzioni ritenute di minore qualità». Secondo le rilevazioni di Svimez, i benefici non si limitano agli allevamenti e ai caseifici ma riguardano l'intero territorio: ogni euro di mozzarella ne crea 2,1 nel sistema economico locale. Il comparto fattura direttamente 577 milioni di euro (con l'indotto arriva a 1,2 miliardi) e occupa 11.200 addetti, nei 1.300 allevamenti di bufale, nei 100 caseifici e nelle attività collegate. I bilanci dei caseifici analizzati da Svimez evidenziano «una redditività da settore premium, simile per esempio alle fabbriche d'auto tedesche».
Il livello medio del margine d'impresa (cioè il rapporto del risultato prima delle imposte e il volume del fatturato) è del 6,3%. «Mediamente - ha spiegato Luca Bianchi, direttore di Svimez - ogni impresa dell'area fattura 590 mila euro l'anno con un alto livello degli investimenti che è del 14,9%». La produzione in 25 anni è quadruplicata (da 115.000 a 494.000 tonnellate). L'export (262 milioni di euro nel 2018) interessa soprattutto Germania, Francia, Gran Bretagna, Usa, Spagna, Svizzera.
Ovviamente non mancano i problemi, primo fra tutti quello della logistica che penalizza fortemente un prodotto fresco come la mozzarella. «Risolvere questi nodi spiega Raimondi ci aiuterebbe a incrementare le quote di export anche al di là dei Paesi tradizionali, guardando a mercati in crescita come Cina e Giappone». «La competizione sui mercati della mozzarella dop spiega il direttore del Consorzio, il parmigiano Pier Maria Saccani che è anche segretario generale dell'Associazione nazionale dei consorzi di indicazione geografica - può avvenire solo sulla qualità e non certo sulle quantità. Siamo di fronte a un deciso aumento delle richieste dall'estero, tanto che la domanda potrebbe rischiare di non essere sempre soddisfatta».
Il dato emerge chiaramente dal Rapporto Svimez, che sottolinea la stretta correlazione tra materia prima e prodotto: il 72% dei costi è legato proprio all'acquisto del latte. Consapevoli che «la mozzarella dop è l'emblema del saper fare italiano», al Consorzio non c'è alcuna voglia di fermarsi sugli allori. «Giovani, qualità ed export sono i tre asset su cui puntiamo e per questo annuncia il presidente Raimondo abbiamo creato una scuola specifica di formazione per formare i casari del futuro, moderni e sempre più attenti alla qualità del prodotto, unica arma per competere e vincere in campo internazionale».
Carlo Ottaviano
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