Le baciate? «Credevamo fossero poche»

Sabato 18 Maggio 2019
Le baciate? «Credevamo fossero poche»
IL PROCESSSO
MESTRE Le baciate in Popolare Vicenza c'erano già dal 2010 e il fenomeno era «conosciuto anche dalla Banca d'Italia», che nell'ispezione del 2012 si fece consegnare anche una lista con i beneficiati dei finanziamenti per comprare le azioni. Ma è dal 2013 che fu premuto l'acceleratore. E dalla direzione centrale furono emanate direttive precise e stringenti, con pressioni e anche minacce di licenziamento, per vendere i titoli della BpVi mettendo in piedi un sistema che «era noto a tutti» e passava sotto la parola magica di «finanziamenti per investimenti mobiliari e immobiliari». «Solo in qualche occasione dei gestori scrissero sulla pratica che crediti e fidi servivano a comprare azioni della banca - spiega al processo su Popolare Vicenza Maurizio Baruffato, ex capo area di BpVi in pensione, uno che gestiva un miliardo di impieghi e 9000 soci - e allora ci fu detto chiaramente che non bisognava apporre quella motivazione per la richiesta di credito: si doveva utilizzare il termine di finanziamento mobiliare e immobiliare. Tutti sapevano bene a cosa servivano». Operazione che comunque aveva suscitato perplessità nei funzionari di BpVi. «Il vice direttore Emanuele Giustini ci assicurò che erano perfettamente legittime e che c'era anche un parere legale che lo confermava e tanto a noi bastò: se cominci a porre in dubbio quello che dice il tuo vicedirettore generale è finita - ricorda Baruffato -. Ci dissero che una lista di clienti finanziati era stata anche consegnata alla banca d'Italia nel 2012. E poi eravamo super vigilata, anche da Consob. I titoli della banca per noi erano sicuri, comprare azioni di Popolare Vicenza non era mica come comprare Gratta e Vinci». Peccato che l'azione venduta a 62,5 euro negli aumenti di capitale del 2013 e del 2014 oggi valga zero e già nell'aprile 2015 l'ultima assemblea con Giovanni Zonin - imputato nel processo a Mestre insieme ad altri cinque ex del vertice di allora - fossero state ribassate a 48 euro. «Non ho mai pensato che il fenomeno delle baciate fosse così ampio - ricorda Baruffato, il funzionario che istruì la pratica per esempio per i finanziamenti da 14 milioni alla Z della famiglia Ziliotto (uno dei fratelli, Giuseppe, è imputato nel processo) - nella mia area avevamo investimenti in azioni dei soci per 500 milioni. Ma le baciate ammontavano a 30-40 milioni al massimo, il resto dei titoli sono stati comprati con mezzi propri o ereditati dai nonni».
STORIA ANTICA
Un legame secolare sgretolatosi solo pochi anni fa. «Solo a inizio del 2016 ho avuto contezza che il fenomeno delle baciate ammontasse complessivamente a 1,1 miliardi. Nessuno pensava che si fosse arrivati a questi livelli». In quel terribile triennio che va dal 2013 al 2015 le operazioni di vendita della banca si sono moltiplicate: c'erano «Operazioni K», «K Abbinate», le «ristrutturazione degli impieghi». Spuntarono le lettere di riacquisto alcune con rendimento all'1% incorporato o gli storni, interessi ricalcolati per dare un rendimento. Alla fine di sei ore di interrogatorio, il presidente del tribunale Lorenzo Miazzi chiede chi deliberava il finanziamento per comprare le azioni? E qui il teste parte dal direttore della filiale per arrivare dopo innumerevoli passaggi fino al vertice operativo. E tutti conoscevano la parola magica? chiede Miazzi. «Per quanto ne so io fino al vertice operativo sì», risponde l'ex funzionario, che poi racconta come in alcuni casi venissero concessi i fidi e comprate le azioni della Popolare anche nello stesso giorno. Precisione Svizzera.
«È il racconto di un Titanic, tutti all'interno della banca sapevano che sarebbe finita male già nel 2013 - commenta l'avvocato Barbara Puschiasis di Consumatori Attivi - ci sono responsabilità diffuse per questo crac, anche degli organi di vigilanza. Abbiamo piena fiducia nel Tribunale, ma bisogna fare presto, c'è il rischio prescrizione».
Maurizio Crema
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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