LA SVOLTA
ROMA «Capisco che vi sia frustrazione su come le società

Domenica 16 Febbraio 2020
LA SVOLTA ROMA «Capisco che vi sia frustrazione su come le società
LA SVOLTA
ROMA «Capisco che vi sia frustrazione su come le società tecnologiche vengono tassate in Europa. Anche noi vogliamo una riforma fiscale».
Questa volta Mark Zuckerberg ha deciso di metterci la faccia. Così il fondatore di Facebook, nel corso della conferenza internazionale sulla sicurezza a Monaco, in Germania, ha aperto all'ipotesi che il suo impero social possa pagare più tasse al di fuori degli Usa. Non solo, come aveva anticipato proprio la stampa statunitense, l'ex studente di Harvard ha anche sostenuto di «essere felice» dei negoziati in corso all'Ocse per un nuovo regime fiscale globale per le cosiddette Big Tech.
Una web tax globale che costringa i vari Facebook, Google e Amazon a pagare in tutti i Paesi in cui operano e che, al momento, è osteggiata da Donald Trump perché ritenuta discriminatoria nei confronti delle aziende americane. Nonostante le minacce però, il gruppo di 137 Paesi da qualche mese ha accelerato i lavori di consultazione sul tema e sta provando a tracciare delle regole comuni entro la fine del 2020. Misure che secondo le stime della stessa organizzazione potrebbero generare fino al 4% in più di entrate da imposte per ogni Stato, pari a circa 100 miliardi di dollari l'anno.
I PILASTRI
Il progetto, nel quale Trump vorrebbe inserire un principio di opzionalità per la tassazione, si basa su due elementi fondamentali. Innanzitutto si mira a fornire ad ogni Paese il diritto di imposizione sulle multinazionali tech in base all'attività che queste realizzano entro il loro confini e non solo in funzione della presenza fisica della società.
In pratica questo permetterebbe ai singoli governi di tassare i colossi della tecnologia anche se mantengono delle sedi in altri Paesi. Il secondo elemento fondante della riforma Ocse invece punta a stabilire un livello minimo di imposizione pari 12,5%. Una misura pensata per ridurre la concorrenza fiscale tra gli Stati e, quindi, evitare che i colossi spostino i propri utili verso le filiali che si trovano in Paesi con tassazioni più favorevoli. Dopo mesi di trattative inefficaci quindi sembra che qualcosa si stia muovendo. Così non solo il prossimo fine settimana la web tax sarà tra i temi centrali del summit dei ministri delle Finanze del G20 a Riyad, ma già da domani tornerà anche Bruxelles. A riportarla sul tavolo europeo, da sempre tra i più attivi nei confronti di Big Tech, sarà proprio Zuckerberg. Il miliardario infatti lunedì incontrerà la vicepresidente esecutiva Margrethe Vestager, che ha la delega alla Concorrenza, il commissario al Mercato Interno Thierry Breton e la vicepresidente Vera Jourova (Valori e Trasparenza). Spettatori interessati di questi incontri saranno soprattutto Italia e Francia, unici due Paesi Ue che hanno già approvato una norma che tassa al 3% i profitti derivati dalla vendita di servizi digitali.
IN VIGORE
Mentre le minacce di Trump hanno però frenato Emmanuel Macron che ha scelto di rinviare tutto al 2021, in Italia la Digital Service Tax (Dst) è entrata in vigore a inizio anno e dovrebbe permettere all'erario un recupero di 708 milioni di euro. La legge di bilancio l'ha infatti svincolata dai decreti attuativi mai approvati che l'avevano tenuta ferma e già colpisce le aziende con un fatturato annuo globale di 750 milioni di euro e 5,5 milioni in servizi erogati sul territorio nazionale.
In realtà però, nonostante sia formalmente in vigore, la Dst segue il cosiddetto principio di competenza e quindi le prime imposte saranno versate a partire dal 2021. Vale a dire in tempo per attendere che l'Ocse o almeno l'Unione Europea riescano a decidere il da farsi con Zuckerberg e gli altri.
Francesco Malfetano
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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