IL CASO
TREVISO «La Procura della Repubblica di Treviso ha dimostrato di

Mercoledì 14 Aprile 2021
IL CASO
TREVISO «La Procura della Repubblica di Treviso ha dimostrato di aver capito quasi niente». È un affondo quello che Giovanni Schiavon, ex presidente del Tribunale di Treviso ed ex vice presidente di Veneto Banca, fa sul lavoro dei magistrati trevigiani impegnati sui vari tronconi che compongono l'inchiesta sul crac dell'ex popolare di Montebelluna. Teatro della stilettata alle tesi dei pm Massimo De Bortoli e Gabriella Cama è l'audizione a cui Schiavon è stato chiamato ieri, a Roma, dai componenti della Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema bancario. Una frase secca per ribadire che lui alla teoria secondo cui Vincenzo Consoli, l'ex Ad della banca, era un uomo solo al comando non vuole credere. «Non può aver fatto tutto da solo - ha detto con riferimento in particolare al processo in corso a Treviso in cui Consoli è l'unico imputato - l'attività della banca è un cosa complessa e richiede interventi di varie persone. Ho fatto il magistrato tutta la vita e mi fa sorridere l'idea che si indichi solo una persona come responsabile del default, eppure questo è avvenuto per Consoli e francamente ne sono rimasto sconcertato». «La Procura - aggiunge Schiavon - sostiene che l'ex Ad si comportava come un dittatore. Ma una cosa sono le caratteristiche per così dire umane, altra è sostenere che ha fatto tutto da solo, compreso portare una piccola banca di provincia al 12esimo posto in Italia». Il crollo di Veneto Banca fu, per Schiavon, in effetti un «disastro reputazionale» figlio di una «manovra ostile» di Banca d'Italia che «nello stesso lasso di tempo, e si era alla viglia degli stress test della Bce, fece due verifiche dall'esito diametralmente opposto. Volevano che Veneto Banca venisse assorbita dalla Popolare di Vicenza e come risultato disastroso del secondo esame ordinò che il management venisse cambiato. E siccome trovarono delle resistenze allora Consoli divenne il loro obiettivo e lo vollero far fuori». «Parlano - rincara la dose Schiavon - di responsabilità nell'avere concesso crediti facili a persone che poi risultavano non in grado di ripagarli. Ma usano i criteri di adesso, non quelli che venivano utilizzati quando la banca faceva la banca. Erano i tempi in cui quando entravi in un istituto di credito prima di tutto ti guardavano negli occhi. E i soldi si davano al di là delle garanzie che fanno sì che oggi il credito lo riceva solo chi di fatto non ne ha bisogno. Non escludo che qualche errore possa esserci stato nell'affidare delle posizioni senza troppe cautele ma non è questo che può aver scardinato il sistema. Ci sono state manovre maldestre e con Veneto Banca è stata fatta una vera e propria prova di bail-in, facendo pagare il prezzo agli azionisti e ai sottoscrittori delle obbligazioni subordinate, come se questi fossero stati degli speculatori e non risparmiatori. Sono state manovre di sistema andate molto male. La riforma del 2015, che trasformò in fretta le banche popolari in spa, ha distrutto un modello di credito e di economia del territorio».
SPADA DI DAMOCLE
L'ultima stoccata Schiavon la riserva ai tempi del processo su cui pende la Spada di Damocle della prescrizione. «Non ci si può lamentare di nulla, hanno perso tre anni con la vacanza Romana' delle carte. Bisognerebbe capire chi e perché ha imposto quella scelta».
Denis Barea
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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