L'INTERVISTA
Fa parte di ciascuno di noi perché raccontare storie «è

Venerdì 17 Gennaio 2020
L'INTERVISTA
Fa parte di ciascuno di noi perché raccontare storie «è qualcosa che accade a tutti, non puoi vivere senza farlo, è come cantare sotto la doccia, è il modo che le persone hanno di stare al mondo».
Così Alberto Garlini, scrittore e curatore di Pordenonelegge, spiega l'urgenza della scrittura, quell'atto «semplice poiché è sufficiente un quaderno e una penna, meno formalizzato rispetto ad altre forme d'arte come dipingere o suonare. Scrivere, però, è una scrittura a diversi livelli, dalle frasi su un diario al post su facebook. Il racconto orale è a disposizione di tutti. Il passaggio ulteriore della scrittura è la formalizzazione in una pubblicazione, una forma di alto artigianato».
Parole per presentare l'undicesima edizione di Pordenonescrive, cinque fine settimana dal 1° febbraio al 7 marzo, un corso di scrittura curato dalla Fondazione Pordenonelegge, che consiste in 36 ore di lezione strutturate dal titolo Scrivere insieme le trame della vita, con insegnanti come Andrea Tarabbia, Michela Marzano, Nadia Terranova, Marcello Fois, Tullio Avoledo oltre a Garlini stesso e Gian Mario Villalta. Le iscrizioni termineranno domani, con un massimo di 25 partecipanti.
- La necessità di dire, l'oralità, si è spostata sui social?
«I social network sono strumenti tecnologici nuovi che aumentano le possibilità per cose che da sempre l'uomo fa, e consentono di aumentare lo spazio di risonanza rispetto a storie che talvolta sono sfoghi del nostro narcisismo. Si crea una forma di testimonianza o di traccia che può raggiungere molte più persone. Quello che accade però è che c'è molta meno possibilità di sfumature, nella comunicazione di massa i sottotesti sfuggono, si cerca una comunicazione più epidermica ed emozionale, si privilegia ciò che abbiamo in comune e non il proprio peculiare. Questo sistema favorisce da un lato superficialità, dall'altro l'irrigidimento nel sistema binario del ci sto o non ci sto. È una tentazione che fa parte dell'uomo, ma che favorisce la conflittualità».
- La prossima sarà l'undicesima edizione di Pordenonescrive. Dopo così tanti anni è possibile parlare di una scuola di scrittura pordenonese?
«Solitamente per scuola si intende uno spazio fisico o un determinato stile ben riconoscibile. In effetti Pordenonescrive è un'altra cosa, non c'è uno stile unico, anzi vengono insegnate molte cose talvolta anche contraddittorie tra loro, c'è un'apertura a 360 gradi davanti a un fatto artistico e letterario che ha diversi modi di essere avvicinato».
- Da dove provengono i corsisti, che tipo di progetti hanno?
«Molti dal Veneto oltre che da tutto il Friuli Venezia Giulia. Creano un mondo variegato in cui ci sono intrecci particolari, sia di età sia di professioni. Dal giovane diciassettenne all'uomo di ottant'anni. Si crea uno spaccato molto ampio. Ed è questo l'aspetto interessante: emerge come la scrittura, e dunque anche la lettura, sia qualcosa di tutti, un quotidiano per nulla elitario e talmente vicino da muovere il desiderio di trovare un altro con cui condividerne la passione. In generale Pordenonescrive serve anche a imparare a leggere un po' meglio, un modo per capire meglio come confrontarsi».
Molti corsisti in questi anni hanno pubblicato un libro: perché il desiderio dell'edizione?
«Raccontare storie fa parte dell'animo umano, da quando ci si sveglia il mattino. Lo si fa per noi ma chiaramente anche per i lettori che sono il mondo di senso che sta attorno a noi. Una storia ha bisogno di essere comunicata e letta, è naturale la condivisione con altre persone. E la pubblicazione è la condivisione di quel senso che il mondo si dà attraverso il racconto. Poi ciascuno di loro ha una vita, una storia, un proprio talento. Alcuni sono capaci di creare frasi immediatamente visibili e forti, altri necessitano di più tempo per arrivare a cesellare, ma è qualcosa che si impara».
Valentina Silvestrini
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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