L'albo d'oro di apre nientemeno che con Ernest Hemingway (1953) e Giovanni Guareschi

Martedì 18 Luglio 2017
L'albo d'oro di apre nientemeno che con Ernest Hemingway (1953) e Giovanni Guareschi (1954), ma passando per i veneti Giuseppe Berto e Giorgio Saviane, si arriva al 2017 e il vincitore del 65. Premio Bancarella è lui, il padovano Matteo Strukul con I Medici. Una dinastia al potere pubblicato da Newton Compton. Il romanzo storico, che è il primo di una tetralogia di successo (la quarta parte uscirà a novembre), ha trionfato con 109 voti. La saga I Medici è ai vertici delle classifiche italiane e in corso di traduzione in 13 lingue, tributando di fatto il consenso internazionale a Strukul, autore di 9 romanzi, 2 albi a fumetti e 2 biografie musicali, ideatore dei festival Sugarcon e Chronicae.
Strukul, si aspettava di vincere?
Non era per nulla scontato, dato che come gli altri 5 finalisti - con libri diversi tra loro e tutti meravigliosi - avevo meno del 20% di probabilità. Sono però stupito per come ho vinto: su 139 voti accessibili (ogni giurato esprime tre voti, ndr) è impressionante averne portati a casa 109.
Se si conta che la Caboni (seconda) si è fermata a 70, sembra che il libro abbia convinto...
Certo lo dicevano le 250mila copie vendute finora dalla trilogia solo in Italia e la traduzione in 13 lingue, ma al di là di questo per me è importante avere il riconoscimento delle librerie indipendenti che sono davvero la spina dorsale nella diffusione del libro cartaceo.
È un amore ricambiato?
Con le librerie indipendenti ho costruito un rapporto particolare all'inizio della mia carriera. E quando sei esordiente ti devi davvero conquistare ogni lettore. Ecco, in qualche modo si chiude un cerchio con questo premio.
Quanto conta un premio letterario oggi?
Molto! Quando pensi che questo è un Premio alla 65. edizione, il secondo più antico in Italia, e che l'albo d'oro si apre con Hemingway, e poi pensi a Eco o a Pasternak... ecco è impressionante. Speriamo di tenere il livello, ma a parte gli scherzi questo mi dice che il premio forse rispecchia un grande successo di pubblico, ma evidentemente ci sono anche qualità letterarie.
C'è un ritorno di attenzione sul romanzo storico?
Secondo me l'attenzione non si è mai interrotta, da Manzoni a Eco, passando per Vassalli e Manfredi, fatte le debite proporzioni oggi Marcello Simoni e io abbiamo riportato il romanzo storico all'attenzione del pubblico. E credo che ci fosse grande voglia di leggere queste storie, che in Italia recuperano memoria e coscienza della bellezza e dell'identità.
Quanto conta l'italianità del suo lavoro?

La risposta viene dai numeri. Appena uscito in Germania, il romanzo è rimasto nella top20 per un mese. Finalmente la storia italiana non viene raccontata da Dan Brown, con tutto il rispetto. È importante raccontare da dove veniamo e credere in quello che siamo.
Il Nordest e Padova sono nei suoi lavori. Quanto conta questo?
È importantissimo. E l'ho innestato anche nella serie I Medici, mettendoci il Gattamelata, raccontando l'esilio di Cosimo a Padova, citando lo Squarcione che tenne a bottega Donatello. Parlo dei legami di Firenze con Padova e Venezia, che furono culla dell'Umanesimo tra Trecento e Quattrocento. E ne sono orgoglioso.
E la Transilvania che c'entra?
Il mio cognome è ungherese e risale ai tempi dell'occupazione austro-ungarica. E la Transilvania era parte dell'Ungheria. Ci ho passato del tempo scrivendo I cavalieri del Nord e ogni anno ci passo un periodo, mi piacerebbe prender casa. È un territorio dell'anima.
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