La tragedia dell'Heysel crepuscolo dell'illusione

Lunedì 1 Giugno 2015
La tragedia dell'Heysel crepuscolo dell'illusione
C'è una foto, a colori, dello stadio Heysel com'era trent'anni fa, a pagina 24, in primo piano una maglia della Juventus appoggiata alla balaustra, e la prima cosa che mi viene in mente, guardandola, ancora incredulo dopo tutto questo tempo, è come sia stato possibile che l'Uefa abbia scelto quell'impianto per una finale di Coppa dei Campioni. Paradossalmente, per certi versi è l'immagine più choccante fra le tante, terribili (alcune già viste, altre inedite) che incontro sfogliando questo libro, perché certifica la superficialità, la leggerezza, l'impreparazione che sono state alla base della notte più nera della storia del calcio: superficiale e colpevole fu la scelta dell'impianto; superficiali e colpevoli l'organizzazione e i soccorsi. Una miscela, esplosiva e criminale, di barbarie hooligans e incompetenza belga, che provocò 39 morti e 600 feriti trasformando Juventus-Liverpool in una carneficina.
A trent'anni da quella notte maledetta esce questo lavoro molto veneto ("1985 Stadio Heysel, 2015 Per non dimenticare...", edizioni Rig, 128 pagine, 29 euro), anzi, molto vicentino, esattamente come gli autori, i giornalisti del “Gazzettino” Domenico Lazzarotto e Luca Pozza e l'ex arbitro internazionale Luigi Agnolin, e come l‘avvocato Sergio Campana, ex calciatore e capitano del Lanerossi Vicenza e storico fondatore e presidente del sindacato calciatori e autore della prefazione, e come molti dei testimoni di quella partita di calcio diventata incubo: da Paolo Rossi, vicentino ad honorem, a Massimo Briaschi che quella partita la giocarono.
Il libro è il racconto accorato e commosso, fatto dai protagonisti (da Trapattoni a Boniek a Stefano Tacconi); da chi c'era e quel terrore lo ha toccato con mano ed è scampato all'incubo e alla morte, come i parenti e gli amici delle due vittime bassanesi, l'imprenditore Mario Ronchi e il dentista Amedeo Spolaore (la cui vedova, Alberta Bizzotto, parla per la prima volta); e da chi stava davanti alla tivù, impietrito di fronte all'orrore, come milioni di italiani, juventini e no, ad esempio lo stesso Agnolin, che volò a Bruxelles il giorno successivo, incaricato dalla Federcalcio di coordinare il rientro degli italiani, vivi e morti.
Fino ai giornalisti, i più grandi (da Gianni Brera a Candido Cannavò), a cominciare dal telecronista di quella tragica partita, Bruno Pizzul, per poi passare ai grandi inviati della carta stampata, fra i quali Giorgio Lago, storico capo della redazione sportiva e poi direttore del “Gazzettino” al quale il libro è dedicato e al quale Sergio Campana dedica una sentita prefazione.
“Morte per gioco” era il titolo del commento di Lago sulla prima pagina del nostro giornale, la mattina di giovedì 30 maggio 1985: “Il troppo denaro, la volgarità dei rapporti umani, lo squadrismo, l'irrazionalità, il profitto che usa tutto e da tutto si fa usare: dietro questo massacro di gente schiacciata con il biglietto della partita stretto nella mano, c'è il crepuscolo di una illusione”.

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