Il giudice: «La tragedia di Martina era prevedibile»

Lunedì 18 Febbraio 2019
Il giudice: «La tragedia di Martina era prevedibile»
IL CASO
BELLUNO «La tragedia di Martina era prevedibile». Lo dice nelle 17 pagine di sentenza, in cui snocciola i motivi della condanna di Anas, il giudice del Tribunale di Belluno, Angela Feletto. Una condanna a 6 mesi per omicidio colposo, ai vertici dell'ente gestore della statale 50, dove morì la pallavolista tredicenne, che ora è stata impugnata. Era arrivata a settembre, al termine della battaglia della famiglia che era andata avanti per 5 anni, con due opposizioni alle richieste di archiviazione sul caso. Ci fu alla fine l'imputazione coatta ordinata dal giudice. E al termine del processo di primo grado la famiglia Bonavera ebbe giustizia. Ora dove ricominciare a lottare in Appello.
IL PROCESSO
Martina Bonavera morì a 13 anni mentre stava andando alla fermata del bus per andare a scuola la mattina del 9 marzo del 2013, investita sulla statale 50 a Giamosa, dal furgone condotto da a un pensionato di Pedavena, che venne condannato a 6 mesi per omicidio colposo. Ma tutti i pedoni in quel tratto di statale 50, da Giamosa alla fermata di Salce, rischiavano la vita perché non avevano un percorso protetto. Così in un nuovo processo per omicidio colposo finirono alla sbarra Ettore de Cesbron de la Grannelais, dirigente area tecnica Anas dal 2009 e Eutimio Mucilli, capo Compartimento Veneto dal 2008 al 2013. Entrambi hanno preso 6 mesi di reclusione, ma, tramite il loro avvocato Daniele Ripamonti di Milano hanno presentato Appello. La famiglia di Martina, che era parte civile nel processo con l'avvocato Chiara Tartari del Foro di Treviso, non ha ritenuto di proporre appello incidentale, in quanto «la sentenza si presenta, sotto il profilo della responsabilità penale degli imputati, assolutamente inattaccabile».
LE MOTIVAZIONI
«Se Anas - scrive il giudice Feletto nella sua sentenza - avesse realizzato le opere manutentive attorno alla banchina consentendone la raggiungibilità in sicurezza da parte dei pedoni avrebbe evitato condotte antigiuridiche (ma necessitate) come quelle di Martina, e le loro tragiche ma largamente prevedibili conseguenze». Martina quella mattina dice il giudice «ha scelto l'opzione più sicura ossia quella di attraversare il prima possibile in un tratto di strada a ampia visibilità». Sulla statale infatti i ragazzi potevano solo camminare sulla carreggiata a lato strada, perché non c'era un percorso in sicurezza e il guard rail bloccava la possibilità di andare nella parte della canaletta. «Martina ha tenuto l'unico comportamento possibile», prosegue il giudice. E dice: «Se fossero state realizzate le opere di canalizzazione dei pedoni verso l'attraversamento pedonale all'esterno del guard rail, avrebbe scelto tale opzione». E prosegue sottolineando che la responsabilità in caso di omicidio colposo non è solo quella di verificare quale condotta abbia portato alla morte, ma anche se l'imputato la potesse prevedere ex ante per evitarla. Ed è proprio questo il caso.
L'AVVOCATO
«Si tratta - dice l'avvocato Chiara Tartari - di una sentenza che ben potrà fare giurisprudenza in punto di suddivisione delle competenze tra Anas ed Ente Locale (Comune) per l'instaurazione di opere di manutenzione a tutela dei pedoni». Anas ha sostenuto nel processo che, quale ente gestore di un tratto di strada statale extraurbana, non aveva alcun obbligo di provvedere all'esecuzione di opere di manutenzione a tutela dei pedoni. Una tesi confutata nel processo, con il significativo contributo della parte civile, avvocato Tartari, che ha prodotto una serie di documenti e testi che hanno chiarito come i vertici Anas conoscessero da tempo la pericolosità del tratto stradale in questione.
Olivia Bonetti
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